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ANALISI DEL RISCHIO “SCAVI E DEMOLIZIONI

LA SICUREZZA NEI CANTIERI TEMPORANEI E MOBILI

SCAVI E DEMOLIZIONI



 ANALISI DEL RISCHIO “SCAVI E DEMOLIZIONI”

 

 

PRESENTAZIONE

Gli scavi e le demolizioni sono tra i lavori più frequenti nell’ambito dell’ingegneria civile e come tali hanno una maggiore probabilità di essere fonte di rischio e pericolo per coloro che operano in questo tipo di attività.

La varietà degli interventi di scavo e demolizione dal punto di vista tecnico/ esecutivo richiede un personale addetto altamente specializzato e dotato di esperienza lavorativa maturata negli anni; solo cosi si può avere garanzia di conoscenze su comportamenti di mezzi e materiali, tali da poter assicurare almeno per via indiretta l’incolumità degli operai.

 

RISCHIO SPROFONDAMENTO   DEMOLIZIONE CON MICROCARICHE

     

Figura 1                                                                                 Figura 2

Infatti la tecnica di esecuzione non può essere sempre la stessa,ma deve obbligatoriamente adattarsi alla natura del terreno (o della struttura) e alle sue condizioni variabili nel corso dei lavori, con conseguente variazione delle misure di sicurezza da adottare.

Il fattore rischio è incrementato dall’uso ormai indispensabile delle macchine (ad alta pericolosità) che di per se comportano già un pericolo di cui bisogna sempre tener conto quando si opera in tali lavori.

Questo fa capire come solo un lavoro attento e rispettoso delle norme può essere sicuro, efficace ed economico per l’impresa che ha sempre a che fare con controlli e verifiche di sicurezza da parte degli organi competenti.

E’ molto importante ai fini della prevenzione fare una previsione sulla base di un progetto esecutivo, dei rischi specifici riguardanti un certo cantiere di scavo e demolizione, dove dall’esame delle lavorazioni, dei materiali impiegati nonché delle modalità operative si riesca ad individuare i principali rischi a cui possono andare incontro i lavoratori.

Un dato poco conosciuto è che la maggior parte degli infortuni, stimata del 60% circa del totale degli infortuni, è attribuibile a scelte effettuate prima dell’inizio dei lavori; ciò è come dire che il 60% degli infortuni è predeterminato.



Ecco perché viene posto l’obbligo di spostare il momento delle scelte in capo della sicurezza e salute sul lavoro dalla fase dell’esecuzione dei lavori alla fase di progettazione.

Altro dato poco considerato è che il 30% degli infortuni mortali in cantiere è attribuibile alla contemporaneità di attività lavorative differenti che si influenzano negativamente a vicenda.

Infatti, l’attività di scavo e demolizione è soventemente svolta da lavoratori di diverse imprese che, in condizioni di provvisorietà e con situazioni ambientali estremamente variabili, assolvono ai compiti loro assegnati senza che sia provveduto al loro razionale coordinamento.

Questo impone l’esigenza del coordinamento delle varie fasi lavorative che si svolgono in sovrapposizione e la pianificazione dell’intero processo produttivo del cantiere, sino ad ora effettuata esclusivamente allo scopo di ottimizzare il lavoro (minimizzazione dei costi e dei tempi di esecuzione).

E’ necessario dunque eseguire una differenziazione tra l’attività di scavo e quella di demolizione, perché ognuna di queste presenta una diversa analisi dei rischi.

Pur essendo attività molto simili tra loro dal punto di vista dei mezzi utilizzati, si differenziano per il fatto che in uno scavo si ha a che fare con materiale sciolto mentre in una demolizione si trattano materiali lapidei o artificiali spesso di notevoli dimensioni.

 

In particolare i rischi contemplati nei lavori di scavo sono:

 

Cadute  dall’alto,           Seppellimento, Sprofondamento, Urti, Colpi, Impatti, Compressioni, Scivolamenti, Cadute a livello, Caduta di materiale dall’alto, Annegamento, Rumore, Investimento, Esposizione a polveri e fibre, Infezioni da microrganismi.

 

Nel caso di demolizioni i rischi più frequenti sono:

 

Cadute di persone dall’alto, Cadute accidentali nel vuoto, Schiacciamenti e ferite dovute a manovre manuali e allo spostamento di apparecchiature, Caduta di materiali dall’alto sopra persone e macchine, Lesioni da urto con eventuali ferri, Lesioni da contatto con cavi di impianti scoperti, Rovina improvvisa e parziale dell’edificio,Contatto con elementi in tensione di linee dei servizi e relativi impianti, Contatto con altre macchine operatrici, Polveri e fibre, Per demolizioni parziali l’inadeguata puntellazione dei muri,delle volte, degli archi,delle finestre, ed altri rischi dovuti a demolizioni totali o parziali.

 

 

 

Alla luce di tali rischi la Normativa Italiana detta una serie di regole da rispettare nei cantieri.



Normativa Nazionale di riferimento:

 

-   D.P.R 164/56; art. 14,15,4,8,29 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni”;

- D.P.R 547/55; “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”;

- D.P.R 303/56; “Norme generali per l’igiene sul lavoro”;

-   D.P.R 320/56; “Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo”

- D.P.R 277/91;

-   D.lgsl 626/94; “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE,

95/63/CE, 97/42, 98/24, 99/38 riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”;

-   D.lgsl 494/96; “Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei e mobili”;

-   D.lgls 528/99; “Modifiche ed integrazioni del D.lgsl 494/96 recante attuazione della direttiva 92/57/CEE”;

-   Decreto Ministero dei Lavori Pubblici 11 marzo 1988 e Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 24/09/88 nr.30483; “Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione”;

-   Ministero dei Lavori Pubblici- Circolare 9/1/96 nr. 218/24/3; “Legge 2/2/1974 Decreto del Ministero dei lavori Pubblici 11/3/1988 contenente le istruzioni applicative per la redazione della relazione geologica e della relazione geotecnica”;

-   D.lgsl 359/99; “Attuazione della direttiva 95/63/CEE che modifica la direttiva 89/655/CEE, relativa ai requisiti minimi di sicurezza e salute per l’uso di attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori”;

-   D.P.C.M. 14 Ottobre 1997, nr.412; “Regolamento recante l’individuazione delle attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, per le quali l’attività di vigilanza può essere esercitata dagli Ispettori del Lavoro delle Direzioni Provinciali del Lavoro”;

-   Decreto Interministeriale 12 Novembre 1999; “Modificazione dell’allegato XI del D.lgsl 19/3/96 nr.242, concernente: “Modifiche ed integrazioni al D.lgsl 19/9/94 nr.626, recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”.

 

Queste norme danno importanti indicazioni di carattere generale sulla sicurezza, e sulla tecnica di esecuzione dei lavori al fine di rispettare almeno gli standard minimi imposti dalla legge.

ATTIVITA’ DI SCAVO



Per attività di scavo si intende l’insieme di tutte quelle operazioni che comportano una trasformazione plano/altimetrica del terreno (allo stato naturale e non) che può essere eseguita manualmente o con l’ausilio di particolari macchine operatrici.

Ricadono tra queste attività:

Splateamenti e sbancamenti : Operazione con la quale si asporta il terreno sino ad una data profondità, normalmente per tutto l’ingombro del fabbricato.

 

OPERAZIONE DI SBANCAMENTO IN TERRENO GRANULARE ESEGUITA CON ESCAVATORE A FUNE

Figura 3

Formazione di rilevati : Operazione con la quale si procede alla realizzazione di strutture in elevazione sagomate a seconda della loro destinazione d’uso (terrapieni di muri di sostegno, rilevati stradali, argini,ecc)

 

FASE DI REALIZZAZIONE DI UN RILEVATO STRADALE;

I VOLUMI DI MATERIALE MOVIMENTATO SONO DELL’ORDINE DI MILIONI DI METRI CUBI

Figura 4



Rinterro di scavi: Operazione con la quale si procede al ricoprimento di fossati naturali o artificiali usando materiale da riporto (spesso a contatto con strutture edilizie).

 

RINTERRO DI UNO SCANTINATO MEDIANTE TERNA; IL MATERIALE SCIOLTO DEVE ESSERE RIVERSATO

GRADUALMENTE NELL’INTERCAPEDINE TERRENO-MURO

Figura 5

 

Scavi di cunicoli e trincee a sezione obbligata per canalizzazioni ,collettori e simili: Operazione che consiste nel realizzare dei fossati di forma e profondità ben definita a sviluppo prevalentemente longitudinale, all’interno dei quali si può disporre qualsiasi impianto, garantendo l’accesso agli operai per la messa in opera (Reti fognarie, Linee di gas cittadino, Acquedotti,ecc).

 

SCAVO A SEZIONE OBBLIGATA PER LA POSA IN OPERA DI UNA RETE FOGNARIA CON POZZETTI DI ISPEZIONE;

GLI OPERAI DEVONO POTERSI MUOVERE ADEGUATAMENTE DENTRO LA TRINCEA

Figura 6



ATTIVITA’ DI DEMOLIZIONE

 

Per demolizione si intende l’insieme di tutte quelle tecniche che permettono di disarticolare in maniera controllata qualsiasi struttura e di praticare importanti interventi su costruzioni già esistenti senza danneggiarle (demolizioni parziali). Questo tipo di attività, come ben noto agli addetti ai lavori, deve essere eseguita previa accurata analisi del manufatto esistente da demolire, onde evitare eventi dalle conseguenze spesso letali per il personale impegnato.

L’importanza della collaborazione tra progettista e coordinatore per la progettazione, nel caso delle demolizioni, diventa essenziale.

Prima di tutto, devono essere stabilite con il progettista le misure da adottare per evitare i rischi di crollo intempestivo o di cedimenti durante le operazioni di demolizione totale o parziale quali, ad esempio, la verifica e il controllo delle strutture; tutto ciò è propedeutico per definire un piano di demolizione comprensivo dell’individuazione dei sistemi di puntellamento e rinforzo da mettere in opera ecc.

 

PARTICOLARE DELL’INCASTELLATURA METALLICA ERETTA ATTORNO A DEI SILOS DA DEMOLIRE;

QUESTO PERMETTE L’INSERIMENTO DELL’ESPLOSIVO IN SICUREZZA, VISTE LE PRECARIE CONDIZIONI DI STABILITA’ DELLA STRUTTURA

Figura 7

Poi devono essere individuate con il progettista le procedure da adottare relativamente alle modalità di demolizione di singole parti delle strutture (pilastri in c.a, muri in mattoni, solai in legno e laterizio, volte in mattoni, travi metalliche).

Importante, risulta anche il preventivo accertamento, tramite specifiche indagini, sull’opera da demolire, dell’assenza di materiali/sostanze pericolose per la salute del personale addetto.

Analoga iniziativa deve essere attuata per evitare i rischi derivanti dalla presenza di impianti all’interno degli edifici civili e industriali da demolire quali, ad esempio, le



procedure per l’individuazione dell’esistenza e della collocazione degli stessi all’interno dei locali, dei punti di alimentazione, il sezionamento degli impianti presenti eccetera.

Preventivamente devono essere anche valutate le caratteristiche minime (portata, ingombri eccetera) delle macchine utilizzate per la demolizione, in funzione delle caratteristiche del sito dove si deve operare (spazi disponibili, interferenze di vario tipo).

La circolazione degli addetti in piano e in elevazione, deve essere preventivamente pianificata, individuando le vie d’accesso, i percorsi ottimali e le opere provvisionali necessarie per garantire la sicurezza del personale, delimitando e segnalando le zone con rischio di caduta di gravi dall’alto e prevedendo adeguate protezioni.

Nel Piano di sicurezza e coordinamento deve essere anche definita la tipologia e le modalità di posizionamento e utilizzo delle segnalazioni, delle protezioni e dei sistemi di sorveglianza, necessarie per limitare i rischi per gli addetti e per i terzi durante le lavorazioni eseguite in prossimità di strade in esercizio, ferrovie, linee elettriche, presenza di terzi. In tal caso devono essere anche previsti analoghi sistemi per la segregazione, segnalazione e sorveglianza delle aree di lavoro durante le soste delle lavorazioni (notte, giorni festivi eccetera).

Importante è anche la previsione degli interventi necessari per limitare i disagi in caso di lavorazioni interferenti con altre attività (protezione di terzi, passerelle, scatolari di protezione personale e terzi).

 

LA PRESENZA CONTEMPORANEA DI MATERIALI ETEROGENEI DI VARIE DIMENSIONI RENDE SPESSO IMPOSSIBILE IL LAVORO DELL’OPERAIO, CHE SI DEVE LIMITARE A DARE ASSISTENZA A TERRA ALL’OPERATORE DELLA MACCHINA

Figura 8

Nel Piano di sicurezza e coordinamento devono essere anche definite le procedure da adottare per eseguire fasi di lavoro particolarmente a rischio (immissione nel traffico, avvicinamento in retromarcia delle macchine alla zona lavori, carico del materiale di risulta).



Anche le modalità di convogliamento a terra il materiale di risulta dalle demolizioni e il successivo carico, stoccaggio provvisorio e smaltimento o riutilizzo, devono essere preventivamente definite ed inserite nel Piano di sicurezza e coordinamento. Deve essere anche garantita la sicurezza dei luoghi di passaggio e di stazionamento, mediante la scelta della tipologia e delle modalità per la realizzazione di protezioni in grado di evitare potenziali danni per la caduta di materiale. Tra cui la previsione delle zone di stazionamento dei mezzi di cantiere impiegati nelle demolizioni (area di attesa per il carico).

Nel Piano di sicurezza e coordinamento devono essere preventivamente individuate le opere provvisionali che, in funzione della tipologia di demolizione da effettuare (con particolare attenzione alle tecniche utilizzate) e delle soluzioni tecnologiche offerte dal mercato, garantiscano la sicurezza e la tutela della salute del personale addetto.

Nel caso in cui non sia possibile operare protetti da opere provvisionali, devono essere previsti i dispositivi di protezione contro le cadute dall’alto da mettere in opera, con particolare riferimento al posizionamento dei singoli punti di aggancio o alla messa in opera di funi di sicurezza e linee vita.

 

Così come già indicato per altre lavorazioni, è opportuno definire preventivamente le modalità di controllo/verifica periodica della stabilità delle opere provvisionali predisposte per l’esecuzione dei lavori.

Devono essere, poi, definite, al fine di evitare pericolose cadute, le protezioni da adottare (tipologia, modalità posizionamento e utilizzo) per proteggere le aperture sul vuoto durante le operazioni di demolizione (vani scala, balconi).

 

Nel Piano di sicurezza e coordinamento devono essere individuate le modalità da seguire per le operazioni di taglio dei ferri d’armatura definendo anche le zone da utilizzare per lo stoccaggio provvisorio delle specifiche attrezzature nonché le misure di sicurezza da adottare per l’uso dei gas compressi e infiammabili . Per queste operazioni svolte in elevazione, devono essere definite le modalità di esecuzione delle stesse e i sistemi di protezione da adottare.

 

Le demolizioni comportano, normalmente, una copiosa produzione di polvere; nel Piano di sicurezza e coordinamento, pertanto, vanno individuate le misure da adottare per evitare la formazione di polvere e la proiezione di detriti/schegge durante le fasi di demolizione.

 

Analoghe misure devono essere adottate per contenere l’emissione di rumore durante l’esecuzione delle attività di demolizione.

I percorsi ottimali per la trasmissione dell’energia necessaria (elettrica, pneumatica) per l’esecuzione dei lavori di demolizione, devono essere attentamente pianificati, onde evitare rischi di danneggiamenti dei cavi con conseguente rischi per gli addetti.



Infine, in caso di interruzioni prolungate dei lavori, nel Piano di sicurezza e coordinamento devono essere definite le modalità di protezione di quanto fino ad allora eseguito.

 

LA DEMOLIZIONE PROCEDE DALL’ALTO VERSO IL BASSO CON LA DISARTICOLAZIONE DEI SOLAI E SUCCESSIVAMENTE I SETTI MURARI

Figura 9

Le ditte devono avere requisiti tali da:

-         operare a qualsiasi altezza;

-         intervenire in zone storiche densamente costruite oppure molto frequentate;

-         isolare e riqualificare reparti produttivi sensibili;

-         raggiungere ogni ambiente, in superficie o sott’acqua;

-         lavorare i materiali più duri anche in zone inquinate o di pericolo.

E’ molto importante che l’attività di demolizione sia di tipo “Controllato” ossia risulti prevista attraverso le fasi di progettazione e pianificazione dei lavori perché semplifica i passaggi, richiede meno risorse, garantisce un livello di sicurezza superiore ai lavoratori, e quindi risulta più economica.

Le tecniche di demolizione “Controllata” fanno parte di quella che viene definita demolizione “Ecologica”; tale riferimento è dovuto al fatto che si può intervenire sulle strutture in armonia con le stesse e con l’ambiente circostante, permettendo ai lavoratori di operare in assoluta sicurezza.

Questo perché:

-         si opera in assenza di vibrazioni;

-         la rumorosità è contenuta;

-         le polveri vengono abbattute;

-         richiede uno sforzo minore da parte degli operatori, limitandone l’affaticamento (è causa di gravose perdite di attenzione);

-         sono previste tutte le misure di sicurezza che evitano o almeno limitano l’accadimento di infortuni.

 

Queste nuove tecniche hanno dato una svolta alle demolizioni tradizionali (a semplice percussione), perché si lavora con un numero minore di operai (c’è meno probabilità di accadimento di incidenti) concentrando il lavoro su macchine altamente specializzate per ogni genere di demolizione.



TECNICHE DI DEMOLIZIONE:

Abbattimento con esplosivo:

 

-         Cariche in foro

-         Cariche appoggiate

-         Cariche cave

-         Proiettili

 

LA DEMOLIZIONE CON ESPLOSIVO PRODUCE GRANDI QUANTITA’ DI POLVERI ULTRAFINI

Figura 10

Abbattimento con mezzi meccanici:

-         Escavatori

-         Tiro con trattori

-         Demolitori idraulici

-         Masse battenti

-         Pale meccaniche

-         Pinze idrauliche

-         Cesoie idrauliche

-         Cementi espansivi ( Bristar )

 

DEMOLIZIONE CON PINZA IDRAULICA

Figura 11



LA CESOIA IDRAULICA PERMETTE IL TAGLIO INTEGRALE DEL C.A.O

 



 

Taglio:


Figura 12



-         Seghe a disco

-         Filo diamantato

-         Getto d’acqua ( Water Jet )

 

UGELLO DEL WATER JET

Figura 13



USO DEL WATER JET PER DEMOLIZIONI STRADALI

Figura 14

Demolizione con mezzi portatili:

-         Demolitore pneumatico o idraulico

-         Fiamma ossidrica

-         Attrezzi vari di scasso e asporazione

 

USO DEL DEMOLITORE PNEUMATICO PER DEMOLIZIONI DI PICCOLA DIMENSIONE

Figura 15



                         

Figura 16

 

 

 

INFORTUNI NELLE ATTIVITA’ DI SCAVO E DEMOLIZIONI

 

Andamento statistico degli infortuni relativo all’anno 2004

Cenni di normativa: Rapporto Infortunato –INAIL

 

-Il lavoratore, in caso di infortunio anche lieve,deve immediatamente informare il datore di lavoro ovvero ufficio del personale, indicando il luogo,l’ora, le cause e i nominativi degli eventuali testimoni. Deve presentare successivamente, nel tempo più breve possibile, il certificato medico al datore di lavoro ovvero all’ufficio del personale e, se le cure dovessero proseguire, il certificato redatto dal medico curante. Nel caso di ricovero l’ospedale invierà copia dei certificati medici all’INAIL e al datore di lavoro.(Art.52 DPR 1124/65)

 

-Qualora al lavoratore è prognosticato “non guaribile in tre giorni”,il datore di lavoro è tenuto a denunciare,entro due giorni da quello in cui ha avuto notizia ,l’infortunio all’INAIL, allegando i certificati medici originali. Se l’infortunio è mortale la comunicazione all’INAIL va fatta per telegrafo. (Art.53 DPR 1124/65)

 

-Il datore di lavoro deve ,nel termine di due giorni, dare notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza, se l’infortunio ha avuto come conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per un periodo superiore a tre giorni.(Art.54 DPR1124/65)



-Se l’infortunio comporta un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, il datore di lavoro deve annotarlo sul registro infortuni, riportando il nome , cognome e la qualifica professionale dell’infortunato, le cause e la circostanza dell’infortunio, nonché, la data di abbandono e di ripresa del lavoro.(Art.4D.Lgs626/94 come modificato dall’art 3 del D.Lgs 242/96).

 

STATISTICA D’INFORTUNIO

 

Il settore delle costruzioni è tra quelli che ha da sempre versato un pesante e triste contributo in termini di infortuni mortali nel bilancio annuale dell’INAIL.

In Italia i casi mortali in complesso (Industria e Servizi) si aggirano sulle 1200 unità. A dimostrazione del fatto, già dal 2001 venivano indicati per il settore delle Costruzioni ben 264 casi mortali all’anno.

Il bilancio è sicuramente elevato anche se negli anni 2002-2003-2004 si è registrata una abbondante riduzione, nonostante il settore abbia conosciuto una forte crescita occupazionale con la continua assunzione di manodopera.


Un grafico a torta permette di inquadrare meglio l’andamento statistico degli eventi. Nell’ambito degli infortuni mortali l’85% risulta verificatosi in attività di Costruzione (edilizia), il 12% in attività di Movimento terra, con uno specifico 3% avvenuto in attività di Scavo.

 

Nella maggior parte dei casi gli eventi infortunistici in attività di scavo sono causati da comportamenti improntati alla scarsa o superficiale attenzione.

Non è inusuale trovare tra documenti di cantiere elaborati dalla direzione dei lavori delle motivazioni “fasulle” che pur in piccola parte alterano le statistiche rilevate.



EDILIZIA-INFORTUNI MORTALI 2004- LE CAUSE

 

 



 

INCIDENZA PERCENTUALE

50%

45%

40%

35%

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0%


EDILIZIA- INFORTUNI MORTALI 2004- LE CAUSE


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAUSE



 

 

 

 

 

 

Spesso la caduta è un evento dovuto alla distrazione degli operai ma ancor più spesso le motivazioni sono la scarsa o inesistente protezione degli scavi e il non rispetto di tutte le norme di sicurezza.

Un istogramma realizzato per settore specifico di attività identifica il nr. di infortuni per caduta in profondità avvenuti nel 2004.

 

 

Infortuni a seguito di cadute in profondità per

-SETTORE SPECIFICO DI ATTIVITA'-

NR.EVENTI

60

55

50

45

40

35

30

25

20

15

10

5

0

 

 

 

 

SETTORE

 

 

 

Da notare che il primato infortunistico è detenuto dalle attività di costruzione di edifici ovvero nell’edilizia in senso stretto.



 

 

1000

900

800

700

600

500

400

300

200

100

0


NR.EVENTI


Infortuni per -TIPO DI LESIONE-. Scavi e movimento terra



 

 

 

 

LESIONE

 

 

 

 

Ancora più specifico è il grafico degli infortuni distinto per sede della lesione.

Gli organi sottoposti a lesione sono tanti e abbastanza vari e questo induce a pensare ad un cattivo o ridotto uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

Le sedi più colpite sono mani, caviglie, piede e ginocchio.

Diversi i dati relativi ad incidenti mortali dove la sede è rappresentata prevalentemente dal cranio.

La mano come sede madre per primato di eventi è un’ organo di difficile protezione, spesso resa impossibile per la particolarità di certi lavori.

E’comunque obbligatorio l’uso di guanti protettivi che almeno in parte attenuano la gravità delle lesioni.

Infortuni mortali per -AGENTE MATERIALE- Scavi e movimento terrra

NR.EVENTI

 

1

 

 

1996

ANNI

 

 

 

 

 

AG. MATERIALE



DISTRIBUZIONE A LIVELLO NAZIONALE DEGLI INFORTUNI

Per quanto riguarda la distribuzione a livello nazionale,gli infortuni risultano concentrati prevalentemente nel Nord Italia.

Al primo posto a parità di casi denunciati per incidenti non mortali troviamo il Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, seguite dalla Toscana.

Il triste primato per gli infortuni mortali è detenuto dalla Lombardia con una percentuale pari al 39%, seguite da Veneto e Toscana rispettivamente col 11,16% e 10,70%.

Su questi dati però ci può essere un minimo di incertezza dovuta al fatto che buona parte degli incidenti che avvengono nel sud-Italia difficilmente vengono denunciati, spesso a causa delle condizioni di lavoro irregolari (molti lavori vengono eseguiti in nero) che di contro sono quasi sempre assenti al Nord.

 

Per quanto concerne l’andamento infortunistico della Sardegna, è da notare che gli infortuni mortali collegati all’edilizia e quindi a scavi e demolizioni sono al di sotto della media nazionale.

Questo fa ben sperare relativamente all’allestimento di cantieri a norma, che sono il miglior metodo di prevenzione dopo il comportamento proprio di ciascun lavoratore (opportunamente istruito dal datore di lavoro).

Però c’è anche da ricordare che la Sardegna appartiene a quelle regioni del sud-Italia che annualmente denuncia meno infortuni se paragonati a quelli realmente accaduti, pertanto i dati tabulati potrebbero essere alterati rispetto all’andamento realistico degli incidenti.

 

 

         Infortuni mortali - Settore Costruzioni- Gennaio/Dicembre 2003        



 

Casi


% a su


di cui


% b su


% b su



totale                                               stranieri totale       a

a                                                                     b

 

V.AOSTA

3

1,40%

V.AOSTA

 

0,00%

0,00%

PIEMONTE

10

4,65%

PIEMONTE

1

3,13%

10,00%

LIGURIA

10

4,65%

LIGURIA

1

3,13%

10,00%

LOMBARDIA

39

18,14%

LOMBARDIA

9

28,13%

23,08%

TRENTINO

2

0,93%

TRENTINO

 

0,00%

0,00%

ALTO ADIGE

4

1,86%

ALTO ADIGE

1

3,13%

25,00%

FRIULI

3

1,40%

FRIULI

1

3,13%

33,33%

VENETO

24

11,16%

VENETO

3

9,38%

12,50%

EMILIA

13

6,05%

EMILIA

2

6,25%

15,38%

TOSCANA

23

10,70%

TOSCANA

6

18,75%

26,09%

MARCHE

4

1,86%

MARCHE

2

6,25%

50,00%

UMBRIA

3

1,40%

UMBRIA

 

0,00%

0,00%

LAZIO

16

7,44%

LAZIO

3

9,38%

18,75%

CAMPANIA

8

3,72%

CAMPANIA

1

3,13%

12,50%

ABRUZZO

11

5,12%

ABRUZZO

 

0,00%

0,00%

MOLISE

1

0,47%

MOLISE

 

0,00%

0,00%

PUGLIA

10

4,65%

PUGLIA

1

3,13%

10,00%

BASILICATA

3

1,40%

BASILICATA

 

0,00%

0,00%

CALABRIA

10

4,65%

CALABRIA

 

0,00%

0,00%

SICILIA

11

5,12%

SICILIA

 

0,00%

0,00%

SARDEGNA

7

3,26%

SARDEGNA

1

3,13%

14,29%

TOTALE               215 100,00% TOTALE             32               100,00% 14,88%



PRINCIPALI MODALITA’ DI ACCADIMENTO DEGLI INCIDENTI

E RELATIVE MISURE DI PROTEZIONE

 

Premessa: Obblighi dell’impresa esecutrice dei lavori

 

Ogni attività di scavo e demolizione deve sempre essere preceduta da apposito progetto regolarmente approvato nel rispetto delle normative vigenti in materia. Questo permette di avere un’attività di cantiere altamente organizzata tra mezzi e operai, capace di minimizzare il fattore rischio.

L’impresa esecutrice degli scavi deve disporre di tale progetto in funzione del quale andare a organizzare i lavori all’interno del cantiere di scavo e demolizione.

Prima di avviare le operazioni di scavo e demolizione, l’impresa deve procedere ad una serie di attività preliminari per le quali occorrerà:

 

 

1)     Effettuare un sopralluogo per individuare:

-         l’esatta collocazione di tutte le utenze sotterranee del luogo di scavo;

-         le condizioni al contorno (strade, alberi, edifici, ecc.)

2)     Valutare l’effettivo rischio specifico riferito a:

-         possibili situazioni legate a fattori ambientali e umani

-         presenza di atmosfere pericolose o presunta mancanza di ossigeno nello scavo

-         presenza di canalizzazioni di servizio

-         condizioni difficoltose di accesso e uscita dallo scavo

-         ingombro dei materiali di demolizione in particolare pezzi di strutture disarticolati

-         possibilità di crollo istantaneo di strutture

3)     Redigere un piano operativo di sicurezza specifico (D.Lgs. 494/96)

4)     Stilare, ove previsto, un apposito progetto per le armature di sostegno

5)     Programmare un piano di formazione ed informazione per i lavoratori (D.Lgs. 626/94).

6)     Prima di iniziare i lavori il responsabile tecnico dell’attività dovrà effettuare un’attenta analisi della zona di scavo o della struttura da demolire, al fine di individuare tutte le misure di sicurezza da porre in essere.

Il tecnico utilizzerà in questa fase il piano di sicurezza predisposto, ove previsto, e comunque dovrà tenere conto dei diversi fattori ambientali (naturali e/o antropici).



FATTORI SCATENANTI DEI RISCHI IN ATTIVITA’ DI SCAVO E DEMOLIZIONE

Condizioni meteorologiche:

 

Le caratteristiche di tenuta del terreno possono variare in rapporto alle condizioni atmosferiche, che modificano il contenuto di acqua e di aria presenti nel terreno stesso.

 

Il Caldo Torrido E L’eccessiva Siccita’ Causano Stress Psicofisico e Conseguente Calo Di Attenzione

 

Le Piogge Sono Fattore Di Disturbo Nelle Attivita’ Di Scavo Manuale, e Rendono Spesso Impossibile Il Lavoro;

Incrementano Anche Il Rischio Frane Allentando La Coesione Del Terreno

 

Scavi in presenza di acque:

 

Qualora negli scavi ci sia o possa verificarsi un accumulo di acqua (La presenza d’acqua è spesso dovuta alla rottura di tubature idriche presenti nella sede di scavo), le precauzioni da prendere variano in funzione della situazione specifica e possono prevedere:

 

-         Armature particolari per evitare franamenti delle pareti dello scavo

-         Sistemi adeguati per l’eliminazione delle acque o per il controllo del livello

-         Uso di opportuni dispositivi di protezione individuale

 

Se lo scavo interrompe il naturale drenaggio del terreno, ove possibile, occorre predisporre canalizzazioni e/o barriere o altri adeguati mezzi per impedirne l’allagamento.

Per la captazione preventiva delle acque di falda, che potrebbero invadere la superficie di splateamento o il fondo di trincee, si possono utilizzare i “well point”, ossia particolari tipi di pompe autoadescanti che aspirano acqua dal suolo mediante punte filtranti infisse a percussione.

In ogni caso, ogni qual volta si ravvisi il rischio di presenza di acqua, unitamente a difficoltà di drenaggio a gravità, sarà indispensabile prevedere l’impiego di sistemi di pompaggio carrellati, di adeguata portata, possibilmente azionati da motori diesel.



POMPA SOMMERSA PER ELIMINARE L’ACQUA IN ECCESSO DALLA SEDE DI SCAVO

Figura 17

Nell’eventualità di allagamento dell’area di scavo occorre attivare la procedura di emergenza, con la sospensione dei lavori, l’immediato allontanamento dei lavoratori e l’attivazione dei sistemi di smaltimento delle acque da parte degli addetti all’emergenza.

Dopo l’intervento della squadra di emergenza, i lavori potranno riprendere solo successivamente alla verifica effettuata da un tecnico competente.

 

Scavi in presenza di canalizzazioni di servizio:

 

La presenza di reti di servizio può provocare gravi incidenti,quando si fa uso di utensili e macchine di scavo, ossia nella quasi totalità dei contesti operativi presi in considerazione.

Nel caso specifico in cui i lavori di scavo devono essere effettuati in prossimità di gasdotti o linee elettriche sotterranee, occorre comunicarlo all’azienda erogatrice e ottenere le necessarie autorizzazioni.

Pertanto, lo scavo deve essere avviato solo quando le aziende di servizio hanno comunicato l’effettiva collocazione delle canalizzazioni (energia elettrica, gas, acqua, telecomunicazioni, ecc.) sulla base di una precisa mappa (ben quotata) dell’impianto. Quando non è possibile   stabilire l’esatta posizione delle canalizzazioni, neanche mediante l’uso di sistemi elettronici di rilevamento (perché si trovano a notevole profondità), il lavoro deve essere fatto con cautela e, quando possibile, con scavo manuale (meno incisivo di uno scavo meccanico).

Le imprese che realizzano gli impianti interrati sono obbligate a segnalare la presenza di condutture mediante dei nastri plastificati (resistenti agli agenti chimici) disposti circa 10 cm al di sopra delle “linee” dove deve essere riportato il tipo di impianto presente (es: gas cittadino, fognatura, enel, ecc.).



I NASTRI DI SEGNALAZIONE DEVONO RIPORTARE IL TIPO DI IMPIANTO CHE SEGNALANO


Figura 18

Per garantire la salubrità dell’aria nella trincea e la sicurezza dei lavoratori dal rischio incendio o esplosione, si dovrà disporre all’occorrenza di strumenti di rilevazione di gas nocivi o esplodenti.

Se in fase di lavorazione si danneggiano cavi, tubazioni, ecc, i lavoratori devono allontanarsi rapidamente dalla zona di scavo ed il responsabile tecnico è tenuto ad avvertire immediatamente le aziende di servizio e sospendere il lavoro fino al sopralluogo di controllo, effettuato dalle stesse aziende fornitrici.

Successivamente, tutte le canalizzazioni sotterranee individuate dovranno essere protette da barriere, schermi e dispositivi per non danneggiarle.

 

LA PRESENZA DI RETI DI GAS CITTADINO POSSONO CREARE SERIE ESPLOSIONI;

VIGE IL DIVIETO ASSOLUTO DI FUMARE RILEVATORE DI GAS MANUALE

 

RETI ELETTRICHE NON SEGNALATE SONO CAUSA DI FOLGORAZIONI;

E’ BENE AVERE UNA MAPPA DELLE CANALIZZAZIONI FORNITA DALL’AZIENDA EROGATRICE



STRUMENTO PER LA RICERCA DEI SERVIZI INTERRATI; RIESCE A CAPTARE SINO A 3 METRI DAL PIANO DI UTILIZZO

 

 


Figura 19                                                               Figura 20

 

 

 

Scavi in prossimità di strutture edilizie esistenti:

Quando la stabilità di edifici adiacenti, muri o altre strutture può essere compromessa dalle operazioni di scavo, occorre predisporre opportuni sistemi di protezione quali armature, puntelli, ecc., che garantiscano sia la sicurezza dei lavoratori addetti che la stabilità delle strutture stesse. In via generale non deve essere consentito lo scavo sotto il livello di fondazione delle strutture edilizie o di muri di sostegno, quando ciò possa comportare situazioni di rischio.

 

Tali lavori si possono effettuare quando:

 

-         viene realizzato un sistema di supporto o di puntellamento in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori e la stabilità della struttura adiacente

-         lo scavo interessa una roccia o banco roccioso stabile

-         un tecnico competente certifichi, sulla base di uno studio geotecnica, che lo scavo è a una distanza tale da non comportare rischi alla stabilità delle strutture adiacenti

 

Stesse considerazioni vanno fatte quando si realizzano scavi sotto marciapiedi, pavimenti, ecc.

 

Rischi per la caduta di detriti:

 

I lavoratori che operano all’interno dello scavo devono essere sempre protetti dalla possibile caduta di terreno, detriti o frammenti di roccia che si possono staccare dalle pareti dello scavo stesso.

Una adeguata protezione può essere realizzata con la rimozione di tutte le parti rischiose delle superfici di scavo (disgaggio) e con la predisposizione di barriere protettive sufficienti a fermare e contenere il materiale (reti di trattenuta, sprinz beton o altri sistemi di protezione equivalente).



Per prevenire la caduta di arnesi e di detriti, occorre che il materiale di scavo e le relative attrezzature siano collocate almeno ad 1 metro dal bordo ( questa distanza va misurata dal piede del deposito di terreno e non dalla cima dello stesso).

Ove possibile, il terreno di risulta dovrebbe essere disposto in modo tale da rappresentare una barriera all’ingresso dell’acqua piovana.

In presenza di materiale di stoccaggio necessario per i lavori,occorre verificare che lo stesso non determini instabilità dello scavo o renda insufficienti i sistemi di protezione predisposti.

I bordi superiori dello scavo devono essere, per quanto possibile, tenuti puliti e sgombri e, in caso di pioggia, protetti con teli impermeabili atti a evitare gli effetti erosivi dell’acqua piovana.

 

BISOGNA SEMPRE RISPETTARE UN FRANCO MINIMO TRA IL CIGLIO DELLO SCAVO E I DEPOSITI DI MATERIALE E/O IL PASSAGGIO DELLE RUOTE DEI MEZZI

 

 

IL SEPPELLIMENTO E’ UNA TRA LE PRINCIPALI SITUAZIONI DI PERICOLO IN ASSENZA DI ADEGUATI CONTENIMENTI DEI DETRITI DURANTE LA POSA DI CONDOTTE D’ACQUA SI HA A CHE FARE CON MATERIALE SCIOLTO (SABBIA O GHIAIA) CHE HANNO UNA MAGGIORE INSTABILITA’

 

Pericolo di investimento dei lavoratori:

 

La circolazione degli automezzi e delle macchine semoventi all’interno della zona di scavo deve avvenire secondo percorsi predisposti in fase di organizzazione del cantiere.

Quando è possibile, occorre prevedere in prossimità delle macchine, percorsi separati per l’accesso dei lavoratori, opportunamente segnalati ed illuminati.

I lavoratori che, necessariamente operano in prossimità delle macchine, devono indossare indumenti di colore ben visibile (preferibilmente arancione o rosso) e riflettenti alla luce in caso di lavori serali o notturni.

Per evitare situazioni di rischi è opportuno che:

-         nessun lavoratore si trovi nel campo d’azione delle macchine

-         i lavoratori non sostino in prossimità dei lavori

-         non ci sia la presenza contemporanea nello scavo di macchine e operai

-         in fase di avvio della macchina non siano presenti lavoratori nelle vicinanze

-         i lavoratori non indossino indumenti che si possono impigliare negli organi in movimento delle macchine



GLI OPERAI DEVONO RISPETTARE LE DISTANZE MINIME DI SICUREZZA DAGLI AUTOMEZZI PER EVITARE L’INVESTIMENTO

 

L’OPERATORE DELL’ESCAVATORE DEVE AVERE COMPLETA VISIBILITA DELL’AREA DI SCAVO E CARICO


Figura 21                                                                       Figura 22

 

 

DURANTE LE FASI DI CARICAMENTO DEL MATERIALE SCIOLTO E’ BENE ALLONTANARSI DAL RAGGIO DI AZIONE DELLE MACCHINE

 

 

RISCHI COLLEGATI ALLE MACCHINE

L’uso delle macchine nei cantieri di scavo e demolizioni è ormai indispensabile visti i grandi volumi da movimentare che richiedono questi lavori.

Collegati alle macchine vi sono una serie di rischi diretti ed indiretti che possono causare seri problemi se il lavoro non viene eseguito con attenzione e diligenza da parte degli operai.

Per quanto riguarda le macchine nello specifico, esse devono essere munite del certificato di conformità CE prima dell’immissione nel mercato o della messa in servizio nell’Unione Europea.

Le macchine adoperate si distinguono in macchine da scavo e demolizione e in macchine da trasporto materiale.

Le prime presentano rischi superiori a causa della loro articolazione e presenza di un braccio mobile.

Le norme fanno assoluto divieto alla presenza di operai nel campo di azione dei mezzi e sul ciglio di fronte attacco in caso di scavo.

Con le demolizioni il rischio è accentuato dal fatto che è difficile prevedere con certezza quale sarà il luogo dove cadranno i pezzi di struttura disarticolati e pertanto l’area di sosta vietata avrà un raggio di ingombro nettamente superiore.

Le macchine dovranno rispettare un franco minimo dal ciglio dello scavo che varia a seconda della consistenza del terreno e della forza di strappo richiesta dalla macchina.



LA MANCANZA DI UN FRANCO MINIMO TRA ESCAVATORE E CIGLIO DELLO SCAVO PUO’ CAUSARE LA CADUTA DEL MEZZO ALL’INTERNO DELL’OPERA

Figura 23

L’operatore alla guida del mezzo deve prima di procedere al lavoro, verificare l’agibilità dei luoghi e disporre il mezzo in posizione sicura per poter lavorare.

La macchina deve essere dotata di cabina di sicurezza metallica o in assenza di questa di solido riparo.

All’operatore dell’escavatore deve essere garantita la totale visibilità dell’area.

Ai lavoratori deve essere fatto esplicito divieto di avvicinarsi alla base della parete di attacco e, in quanto necessario in relazione all’altezza dello scavo o nelle condizioni di accessibilità del ciglio di una eventuale platea superiore, la zona di pericolo deve essere almeno delimitata mediante opportune segnalazioni spostabili col proseguire dello scavo.

 

LA MANCATA VALUTAZIONE DELLA PORTANZA DEL TERRENO PUO’ ESSERE FONTE DI RISCHIO PER L’OPERATORE DELL’ESCAVATORE E CAUSA DI GROSSE PERDITE ECONOMICHE


Figura 20                                                                                         Figura 21



LE MACCHINE DEVONO ESSERE IN PERFETTA EFFICIENZA PER EVITARE PERICOLOSI

INCONVENIENTI

Ribaltamento ed uso improprio delle macchine:

Quando l’operatore della macchina non ha una visione ottimale o

Ristrutturazione degli immobili: scavi e demolizioni

 


 prima una demolizione per poi ricostruire nuovamente l’immobile.

Mentre in passato vi era l’abitudine diffusa di procedere direttamente sull’immobile preesistente apportando delle modifiche che, nella maggioranza dei casi, compromettevano la stabilità e richiedevano, già pochi anni dopo, dei nuovi lavori. Oggi, grazie ad una maggiore attenzione verso la materia ingegneristica, nascono nuove forme di approccio che si dimostrano molto più efficaci rispetto alle precedenti.
Gli scavi e le demolizioni degli edifici fatiscenti consentono di disporre di ampio spazio d’azione e di riempire i volumi con progetti creati appositamente. Procedere in questo modo consente inoltre di tutelare l’ambiente in quanto, frequentemente, il materiale di risulta derivante dalla demolizione, a seguito di un’apposita lavorazione, viene riutilizzato per la nuova costruzione, con un consistente risparmio anche in termini economici, fattore certamente da non sottovalutare. Poiché tutte queste attività necessitano di essere eseguite da persone competenti, che abbiano la professionalità per agire nel migliore dei modi, è importante avvalersi della collaborazione di ditte specializzate nel campo, onde ottenere un lavoro a regola d’arte.
Purtroppo, chi opera nell’improvvisazione, in questo settore non solo rischia di compromettere la buona riuscita dell’intervento ma, soprattutto, mette in serio pericolo l’incolumità delle persone, ecco perché occorre sempre diffidare di quelle ditte prive di esperienza e certificazione attestante le loro effettive capacità.


Come avvengono le demolizioni
Le demolizioni avvengono secondo un sistema che divide ogni singola operazione in step, uno seguente all’altro, in maniera da garantire la piena sicurezza.
Nella fase preliminare gli ingegneri e progettisti stabiliscono che tipo di demolizione fare, se totale o parziale, e gli strumenti idonei da utilizzare. In tale fase vi è già un progetto finale, al quale occorre uniformarsi, in modo da realizzare la ristrutturazione concordata con il cliente.
Con riferimento ai materiali, la demolizione può avvenire mediante detonazione, con una speciale dinamite che, colpendo direttamente le fondamenta dell’immobile, permette di sbriciolarsi letteralmente su se stesso senza comportare altri danni o detriti. Questa soluzione viene preferita quando l’edificio in questione è molto ampio e ha più piani, onde velocizzare notevolmente le operazioni distruttive.
Quando invece si intendere abbattere semplicemente un piccolo immobile o si vuole intervenire lungo un’ala del palazzo o porzioni di esso si preferisce adoperare delle macchine demolitrici che, in modo mirato, buttano giù solo le parti di muro superflue. Le attività di demolizione richiedono una recinzione di tutta l’area e la richiesta di un permesso comunale per operare agevolmente. Le tempistiche variano a seconda delle dimensioni della costruzione, si spazia solitamente da un minino di un giorno di lavoro sino ad un massimo di una settimana.

Come avvengono gli scavi
Le ditte specializzate in ristrutturazioni operate mediante la demolizione dell’edificio eseguono un servizio completo. Infatti, dopo avere provveduto alla distruzione dell’immobile fatiscente la ditta stessa, attraverso propri uomini e mezzi, si occupa anche dello smistamento del materiale di risulta. Tale materiale viene scavato, con apposite macchine escavatrici, onde liberare totalmente il campo d’azione, che deve essere sgombro per i nuovi lavori di costruzione, tutti i detriti vengono spostati in un’area attigua, adibita all’importante fase della separazione. In pratica, al fine di individuare i materiali utili, le macerie vengono selezionate da operai specializzati che, scegliendo i pezzi più interessanti, gettano tutto il resto per lo smaltimento. Si viene a creare dunque un deposito di materie prime ancora sfruttabili per l’edilizia e altri residui che, ormai inutili, possono essere consegnati nelle aree ecologiche. Anche in questo caso, gli scavi possono avvenire in un giorno di lavoro o in massimo una settimana, a seconda della complessità del cantiere.
La ditta che esegue scavi e demolizioni è la stessa che provvede allo smaltimento dei rifiuti, servizio incluso nel prezzo pattuito.





Muri di contenimento, cosa sono e a cosa servono?


Costruiti per evitare che terreni scoscesi e scarpate franino sul terreno, i muri di sostegno e contenimento possono essere realizzati innanzitutto in cemento, ma anche in pietra e in legno per ragioni di estetica e arredo urbano.


Indice degli argomenti:

Sull’estetica e la solidità della Grande Muraglia cinese non vi sono dubbi. Quest’opera serpeggiante, però, forse non era stata concepita per contenere le frane, quanto piuttosto le orde nemiche.

L’affascinante opera di sbarramento, annoverata fra le sette meraviglie del mondo, consiste in una serie di muri situati a varie altezze del territorio cinese ed è stata costruita a partire dal 215 a.C.

Oggi ne restano in piedi, pressoché tutti percorribili, 6.350 chilometri.

A tutti è sicuramente capitato di imbattersi, almeno una volta, in un muro di contenimento, ovvero in una struttura realizzata appositamente per sostenere il terreno adiacente.

- Questi muri, chiamati anche “di sostegno”, non vanno confusi con altri tipi di murature. Un esempio? Nel caso in cui un muro di contenimento coincida con il confine di una proprietà, questo non deve essere considerato un muro di cinta, il cui unico scopo è invece quello di delimitare una proprietà. Proprio da questa riflessione emerge la natura prettamente funzionale di questa particolare struttura.

A cosa servono i muri di contenimento

I muri di contenimento sono utilizzati da quando l’uomo costruisce per modellare il terreno a seconda delle proprie necessità. Lo scopo dei muri di sostegno è proprio quello di sostenere, con la massima efficacia i terrapieni, naturali o artificiali che siano, prevenendo possibili frane a valle e garantendo l’integrità del suolo.


Pisa2 è il sistema di blocchi in calcestruzzo e geogriglie di Micheletto per costruire muri di contenimento in terra rinforzata, con paramento modulare in calcestruzzo

Sono costruiti, quindi, lungo tutto il perimetro entro il quale contenere e fortificare, ma devono assolvere sempre più spesso anche a una funzione estetica per abbellire un giardino terrazzato, le sponde di un viale o il sostegno a una palizzata. Da un punto di vista strutturale, ciò che li distingue da una qualsiasi altra struttura verticale, è proprio il dover rispondere a sollecitazioni e spinte orizzontali invece che verticali.


MURETT di MVB è un sistema per la realizzazione di muretti di contenimento terra-

Banalmente, anche i muri realizzati per un bacino idrico artificiale sono strutture di contenimento, in quanto l’azione dell’acqua è assimilabile a quella del terreno e la funzione della struttura è proprio la stessa.

Come si costruisce un muro di contenimento

I muri di contenimento possono essere costruiti con diverse tecniche e materiali, anche a seconda della località e delle verifiche di calcolo effettuate prima di procedere alla progettazione e costruzione del muro.

In ogni caso, il materiale principale usato per costruire i muri di sostegno è il cemento (i cosiddetti Plo) o il calcestruzzo armato, ma è possibile avvalersi anche della pietra tagliata (specialmente per i muretti a secco), nonché di legno e di mattoni.


- In alcuni progetti di bioedilizia vengono utilizzati anche dei leganti naturali, come la calce, il fango e la paglia. È il caso, ad esempio, delle murature in terra rinforzata, che possono raggiungere notevoli altezze fuori terra, tenendo presente nella progettazione che maggiore è la larghezza del terreno da rinforzare, maggiore sarà la resistenza della muratura.

Muro a gravità o muro a mensola?

A seconda del funzionamento statico della struttura che si è scelto di realizzare, si possono distinguere principalmente due tipologie di murature di contenimento, ovvero il muro a gravità e il muro a mensola.

Nel primo caso, la funzione di contenimento e sostegno è svolta proprio grazie alla massa della muratura, tanto che è necessario costruire con dei materiali di una certa consistenza, generalmente la pietra o i mattoni. Dato che il punto forte delle strutture verticali non è la resistenza alla trazione, gli spessori dei muri a gravità sono molto elevati, anche superiori al metro, e con delle fondamenta importanti in calcestruzzo armato. Perciò, molto spesso, questa tecnologia non viene utilizzata.

Il muro a mensola, invece, si realizza con il calcestruzzo armato che, grazie all’armatura, resiste maggiormente alle spinte laterali del terreno anche con uno spessore ridotto (anche 30 cm), da calcolare in base alle sollecitazioni a cui deve rispondere. Questo rende semplice capire perché, quasi sempre, si predilige questo tipo di struttura, che permette di risparmiare materiale, ma anche di ridurre i costi per la costruzione.-


I muri di contenimento Rockwood di Ferrari BK in calcestruzzo permettono di costruire murature di sostegno utilizzando l’antica tecnica delle murature a secco

Dal muro a secco in pietra, alle moderne soluzioni prefabbricate

In passato si usava spesso realizzare muri di contenimento in pietra a secco, senza superare determinate altezze, che avrebbero aumentato il rischio di ribaltamento.

Un classico esempio sono i terrazzamenti che si trovano in molte regioni italiane, come la Liguria. Nel caso di forti sollecitazioni, il muro poteva anche essere costruito leggermente inclinato e le pietre venivano prima lavorate e sagomate per ottenere migliori prestazioni.

Oggi, sono disponibili nuove e interessanti soluzioni prefabbricate per realizzare muri di contenimento, ad esempio in giardini e parchi. Infatti, si possono utilizzare appositi blocchi prefabbricati, di cui generalmente si cura molto anche l’estetica. Esistono muri alveolari, che grazie alla loro particolare forma permettono la crescita di piante lungo la parete, così come si possono preferire dei blocchi in fibra di vetro, posati a secco e ben ancorati al terreno grazie ad apposite geogriglie.




Materiali e metodi per realizzare muretti di contenimento

Muretti di contenimento


I muretti di contenimento vengono costruiti per evitare il franamento di terreni scoscesi.
I muri di sostegno e di contenimento possono essere realizzati con materiali diversi quali: cemento, pietra, legno, a seconda della loro funzione e del contesto in cui si inseriscono.

I muri di contenimento hanno quindi la funzione di sostenere il terreno adiacente, con la massima efficacia, per essere rimodellato a seconda delle necessità, prevenendo possibili frane a valle e garantendo l'integrità del suolo.

Un muretto di contenimento terra viene costruito lungo tutto il perimetro entro il quale occorre contenere e fortificare il terreno. Dal punto di vista strutturale si distingue dai muretti verticali di confine proprio per il dover rispondere a sollecitazioni e spinte orizzontali.

Questi muretti di contenimento devono anche assolvere a una funzione estetica spesso per abbellire un giardino terrazzato, le sponde di un percorso, ecc.


Come costruire un muretto di contenimento


Diverse sono le tecniche costruttive per realizzare i muretti di contenimento del terreno, e diversi possono essere i materiali impiegati, la scelta dipende dalle verifiche di calcolo effettuate prima di procedere alla costruzione oltre che dalla località in cui verrà inserito il muro.


Il materiale maggiormente usato per questo tipo di intervento è il cemento o il calcestruzzo armato, ma è possibile anche utilizzare la pietra tagliata, specialmente per i muretti a secco, in alternativa legno, blocchi in cls o mattoni.

Come leganti si può utilizzare la calce, fango e paglia (utilizzati in bioedilizia).
Le murature in terra rinforzata possono raggiungere notevoli altezze fuori terra, nella progettazione occorre tenere presente la larghezza del terreno da rinforzare per calcolare la resistenza della muratura.

Tipologie di murature di contenimento


Si possono distinguere principalmente due tipologie di muretti di contenimento, a seconda del loro funzionamento statico: muro a gravità e muro a mensola.

Nel muro a gravità, la funzione di sostegno è svolta dalla massa muraria, pertanto deve essere realizzato con materiali di una certa consistenza quali pietre o mattoni. Gli spessori di questi muri sono piuttosto elevati (circa 1 m) in quanto resistono meno alla trazione e devono avere delle fondamenta calcestruzzo armato.

Il muro a mensola, viene realizzato in cemento armato ed è dimensionato per resistere alle spinte laterali del terreno, anche con uno spessore ridotto (circa 30 cm). Quindi solitamente si predilige questo tipo di struttura, che permette di risparmiare materiale e di ridurre i costi per la costruzione.


Soluzioni prefabbricate per muretti di contenimento


Per la realizzazione di muretti di contenimento si possono utilizzare blocchi prefabbricati, ideali per parchi e giardini, grazie alla loro valenza estetica.
Ad esempio i muri alveolari, grazie alla loro particolare forma, consentono la crescita di piante lungo la parete, oppure blocchi in fibra di vetro, posati a secco e ancorati al terreno mediante apposite geogriglie.

L'azienda Ferrari BK propone i blocchi idrorepellenti in muratura Rockwood, modulari in calcestruzzo, che permettono di costruire murature di sostegno utilizzando l'antica tecnica delle murature a secco.


Le strutture realizzate con questi blocchi possono raggiungere altezze notevoli, anche oltre i 15 mt e sono in grado di sopportare sovraccarichi e azioni sismiche di grande rilevanza, coniugando sicurezza, stabilità ed estetica.

Lo speciale dente di ancoraggio permette automaticamente di allineare i blocchi idrorepellenti in muratura, di raggiungere la corretta inclinazione del paramento esterno, nonchè di ottenere una elevata connessione con le geogriglie di rinforzo.

Grazie alla particolare geometria dell'ancoraggio, possono essere realizzate murature a gravità con altezze fino a 1.20 m fuori terra ed è possibile, inoltre, realizzare in modo rapido ed economico raggi di curvatura molto ridotti.

Le murature Rockwood vanno opportunamente dimensionate per determinare la lunghezza delle geogriglie di rinforzo e la loro resistenza a trazione.
La fase di calcolo prende in considerazione tutti i sovraccarichi, ivi compresi quelli derivanti dall'azione sismica e le caratteristiche geomeccaniche del substrato e degli inerti utilizzati per il riempimento.

FBK GREEN® e FBK GREEN MINI® sono prodotti ideali per costruire muri verdi di piccole e grandi dimensioni, e rivestimenti di scarpate. Il loro sistema di posa consente di creare muri curvilinei con facilità.


Muri di contenimento di pendii


L'azienda MACEVI Group è leader nel settore della produzione di blocchi per murature e sistemi costruttivi per il contenimento di pendii, efficienti dal punto di vista della tenuta strutturale, senza trascurare le odierne tematiche ambientali.


Il prodotto Splitflower ripropone un'antica arte muraria abbinata a una moderna tecnologia di produzione. È un elemento prefabbricato in calcestruzzo vibrocompresso progettato per realizzare facilmente opere di stabilizzazione a secco di pendii.

La faccia a vista presenta il fascino naturale della finitura pietra a spacco, ovvero splittata.
Il sistema costruttivo è un'innovativa soluzione strutturale a basso impatto ambientale che si integra perfettamente con l'ambiente naturale in cui viene inserita.


L'originale disegno del blocco è stato studiato per rispondere a tutte le esigenze di massima sicurezza e flessibilità di impiego.

Il prodotto Mini Slitflower è progettato in calcestruzzo vibrocompresso, per realizzare opere di stabilizzazione di pendii. Grazie alle sue dimensioni modulari notevolmente ridotte acquista grande versatilità compositiva e facilità di posa in opera.

Può essere impiegato per muri di contenimento con ridotte spinte di carico, per movimentare e fiorire piccoli dislivelli di giardini e quanto altro possa scaturire dalla fantasia di committenti e progettisti.

Recinzione giardino: cos’è, a cosa serve e idee per recintare il proprio giardino

Recinzione giardino: cos’è, a cosa serve e idee per recintare il proprio giardino



Scegliere di recintare la propria casa o il proprio giardino è una scelta logica oltre che estetica. Un modo per delineare un confine, evitare intrusioni e anche rendere maggiore la propria privacy. Oltre alla recinzione è possibile adornare l’ambiente con alcuni arredi utili a creare una distinzione con l’ambiente circostante.

La recinzione da giardino può variare di molto per quanto riguarda i materiali, la struttura ed il prezzo è comunque importante sempre attenersi alla normativa di riferimento prima di edificare una struttura.

Questa deve rispondere non solo ai canoni estetici della casa per essere armonica con l’ambiente circostante, senza intaccare l’estetica e senza soprattutto occludere troppo l’abitazione. Potrebbe infatti poi divenire uno strumento poco utile se ritenuto nel tempo addirittura fastidioso.




Che cos’è una recinzione da giardino e come edificarla: la normativa

La recinzione da giardino è una delle soluzioni migliori per rendere il proprio spazio privato. Ce ne sono in materiali molto diversi come metallo, legno, ferro, rispondendo ad ogni esigenza. Ovviamente per creare privacy è utile non solo installare questa struttura ma aiutarsi con delle siepi che sono il migliore accompagnamento alle recinzioni.

Il recinto è dotato di una struttura autoportante che viene installata nel terreno. È di tipo leggero e quindi serve solo come ornamento per delineare il territorio. Non è una grande protezione a livello di sicurezza a meno che non si adoperino sistemi particolari che ne vadano a migliorare l’assetto. In quel caso è bene optare per un muro di recinzione, più solido e utile anche se sono presenti dei piccoli animali.

Prima di poter procedere è utile avere l’autorizzazione edilizia pena il pagamento di una sanzione. È bene chiarire che non c’è una sola variante che autorizzi tutti i tipi di recinzioni, quelle più ingombranti devono avere il permesso per costruire sul suolo, mentre le recinzioni piccole in legno o metallo prevedono solo la comunicazione al Comune.

Ogni proprietario ha diritto a separare il proprio spazio, tuttavia questo deve essere sempre fatto nel rispetto degli altri.

Qualora la recinsione rappresentasse un problema o un ingombro per i vicini dovrebbe intervenire poi la legge. Al fine di evitare dispute è bene segnalare con apposita certificazione l’inizio dei lavori. L’ordinamento prevede che qualora venga realizzata una struttura al solo scopo di delimitare la proprietà, non vi è bisogno di alcun permesso di costruire a meno che questo non turbi la visione anche degli altri.

Qualora invece si voglia edificare un muro e quindi costruire in modo da mutare l’assetto strutturare di quello spazio è previsto un permesso che deve essere rilasciato dal Comune di residenza. La legge riporta nel Codice Civile all’articolo 886 la possibilità di costruire un muro di cinta che deve essere massimo tre metri.

Tuttavia per dubbi o chiarimenti è opportuno rivolgersi all’Ufficio Tecnico del Comune poiché le norme possono trovare applicazione differente anche in base alla zona. Uno dei maggiori problemi quando si realizza un recinto è proprio il vicinato che potrebbe sostenere la poca fattibilità dello stesso nonché suscitare poi problemi con il Comune.

La scelta migliore è optare per una recinzione bassa che delimita il giardino ma ha basso impatto visivo e difende comunque la proprietà. Le più comuni sono in legno o in ferro, vengono costruite con l’unione di paletti e l’altezza è variabile.

A cosa serve una recinzione da giardino

Una recinzione da giardino per molti è solo uno strumento estetico che delinea un territorio, per altri invece è un modo per isolarsi e quindi circoscrivere il proprio ambiente, per altri ancora è questione di sicurezza.

La prima cosa da fare prima di procedere alla scelta e quindi alla costruzione è decidere quali sono le finalità di questa delimitazione. Questo punto è chiave non solo nella valutazione dei materiali, dei contorni, degli elementi strutturali, ma anche nella finalità primaria di questa creazione.

La funzionalità dello spazio deve restare invariata, per avere maggiore privacy è possibile aiutarsi con degli elementi di separazione, l’importante però è non creare un netto distacco che diventi fastidioso. I materiali più utilizzati sono il legno e il metallo.

Il primo si sposa bene per le recinzioni perché solitamente è armonico con il contesto e con le piante, dura nel tempo e può facilmente essere sottoposto a trattamenti per cambiare il colore. La soluzione può essere unica se la costruzione è già fatta oppure costruita e lavorata appositamente, in quel caso impilando ogni componente.

Si parla ovviamente di un processo più lungo e laborioso. Anche le soluzioni in metallo vengono largamente adoperate, sia perché più economiche ma anche perché più durevoli. I vantaggi di questo sono molteplici, è flessibile e sicuro. Tuttavia va facilmente incontro a corrosione. Per una questione estetica si tende ad utilizzare il ferro battuto, molto più gradevole. Ma questo non è comunque paragonabile al legno.

Vi sono anche delle recinzioni da giardino di tipo vegetale, le pareti vengono utilizzate per dividere il giardino e non attuano una vera e propria separazione. Si possono utilizzare delle siepi, degli alberi o comunque il verde.

Da un punto di vista stilistico sono la scelta migliore, molto bella ma poco sicura. Inoltre c’è da considerare che queste devono essere curate affinché non diventino poi confusionarie e comunque è indispensabile un progetto.

La scelta della recinzione è importantissima non deve essere sottovalutata e bisogna fare delle riflessioni che tengano conto del tempo, di come possono cambiare gli stili e di quello che è necessario da un punto di vista strutturale.

La prima cosa da fare è vagliare tutte le tipologie esistenti e non solo quelle più belle o più economiche, vedere come queste si sposano alle proprie necessità e poi valutare con uno specialista il lavoro da farsi. Ovviamente se si ha un budget limitato è anche possibile procedere con il fai-da-te. Ci sono tante idee molto carine per recintare il proprio giardino e spendere poco.

Idee per recintare il proprio giardino: soluzioni e novità

Avete voglia di delineare il vostro giardino e non sapete da dove iniziare? È importante per prima cosa valutare quali tipi di recinzioni si possono installare per farsi un’idea precisa:

  • RECINZIONE IN RETE METALLICA – Queste strutture sono molto usate perché poco costose e anche resistenti. Le reti possono essere anche plastificate e rappresentano la variante più semplice all’installazione dei paletti. La maglia è molto salda e si possono anche scegliere le dimensioni. I costi sono estremamente contenuti e hanno buona riuscita.
  • PALETTI IN LEGNO – Una soluzione molto amata perché utile da un punto di vista estetico, estremamente personalizzabile. Si possono inserire recinsioni a griglia dove magari sistemare un roseto, oppure frangivento per proteggere le piante, staccionate di castagno per una bellezza senza pari e così via. I modelli sono tantissimi ma i costi più elevati.
  • BAMBU‘ – Questa variante si è diffusa molto negli ultimi anni, i listelli di bambù possono essere naturali o artificiali. Sono molto belli e hanno un prezzo medio, tuttavia sono difficili da maneggiare e per l’installazione è richiesta una certa esperienza. Bisogna fare attenzione affinché la recinzione sia stabile. Una buona variante è la rafia che tiene lontani gli instetti ed è antimuffa.
  • FERRO – Questo materiale è da sempre largamente utilizzato, molto elegante e decisamente più sicuro. Basterà chiamare un fabbro per poter far fare il lavoro. Ci sono tanti tipi di ferro da poter utilizzare ma i prezzi lievitano e anche parecchio.
  • CEMENTO – Le recinzioni in muratura sono solitamente quelle più occludenti. Possono essere muretti o vere e proprie strutture edificate. In questo caso però la soluzione si complica e bisogna avere i permessi per edificare, nonché chiamare un esperto. Quindi il prezzo non è affatto economico. Tuttavia è la soluzione migliore per tenere lontani eventuali visitatori non desiderati.
  • PIETRA – Anche questa variante è molto gettonata, molto country. I costi però sono veramente elevati perché tra la scelta delle pietre e la lavorazione il prezzo lievita facilmente.

Le tipologie sono tante e diversificate, la prima cosa da fare è stabilire un budget per farsi un’idea, poi chiedere qualche preventivo e alla fine adoperarsi. La spesa è eccessiva? Niente paura. Inizia recintano il giardino con delle piante a crescita alta, in questo modo creerari a basso costo una bella recinzione e il giardino sarà coloratissimo.


RECINZIONI PER IL GIARDINO: QUALE SCEGLIERE?

RECINZIONI PER IL GIARDINO: QUALE SCEGLIERE?


Chi ha una casa di proprietà, quando finalmente è arrivato alla voce recinzione, probabilmente avrà pensato “con una casa non c’è mai una fine”. E in effetti la questione della recinzione, con cui di solito ci si trova a fare i conti alla conclusione di tutti gli altri lavori, è solo apparentemente marginale. Vediamo alcuni aspetti a cui fare attenzione.

Recinzione – sì o no?

Il fatto di costruire o comunque predisporre una recinzione nel proprio giardino non è affatto scontato. Alle nostre latitudini la mentalità comune ci porta a recintare, mettere paletti, segnalare il confine tra lo spazio ritenuto privato e quello pubblico. Gli spazi aperti sono probabilmente una soluzione più nordica, adatta a quelle culture che sanno rispettare i limiti dell’abitare senza prevaricarli. O, se vogliamo dirla tutta, che riescono a sopportare gli sguardi altrui senza battere ciglio. Ad esempio, lo sapevi che in Olanda le case non hanno le tende alle finestre? Pare questa abitudine sia dovuta al protestantesimo che esige di vivere in modo irreprensibile, senza temere gli sguardi dei passanti nei momenti di quotidianità familiare.


Privacy, sì grazie

Dalle nostre parti invece siamo abituati a goderci la nostra intimità lontano dagli sguardi indiscreti. Oltre a coprire le finestre con tende e persiane, non disdegniamo nemmeno le recinzioni, che in genere ci offrono anche una maggiore sicurezza, specialmente in presenza di bambini piccoli e animali.

Che tipo di recinzione scegliere

Innanzitutto, prima di partire con progetti e acquisti, informati all’ufficio tecnico del tuo Comune quali recinzioni puoi utilizzare. Molto spesso infatti le recinzioni sono da considerarsi un elemento edile, per il quale dovrà essere preparato un progetto da sottoporre all’ufficio tecnico del Comune, che avrà un mese di tempo per rigettarlo. Le possibili soluzioni per le recinzioni sono contenute nel Piano regolatore, che prevede le altezze ammesse e i materiali che è possibile utilizzare. Nel caso la tua casa si trovi in un centro storico, molto probabilmente dovrai adeguare l’estetica e i materiali della tua recinzione a quella più frequente nella tua zona, in modo da mantenerne l’armonia dell’abitato.

Fatta chiarezza su questo punto, passiamo ora alle recinzioni, partendo da quelle più semplici a quelle più impegnative che richiedono l’intervento di imprese del campo dell’edilizia.

La rete metallica

Rappresenta una scelta dettata dalla praticità e rispetto alle altre soluzioni richiede un investimento molto basso. La rete metallica non è particolarmente estetica, ma offre una soluzione valida nel caso tu abbia necessità di mettere in sicurezza il tuo giardino, specialmente in presenza di animali e bambini. Nella posa in opera dovrai fare attenzione a preparare delle buone basi per i pali che la sosterranno, in modo che il vento e eventualmente gli animali non possano inclinarla.


Le siepi

Quella di piantare delle piante che andranno a schermare completamente la vista della tua casa è una soluzione molto green e sostenibile. Le siepi infatti non richiedono lavori di muratura e fondamenta e sono sostenibili dal punto di vista ambientale, portando anche più verde intorna a vasa tua. Puoi scegliere tra le piante sempreverdi più adatte alla tua zona climatica e garantire così un buon mantenimento nel tempo. Tuttavia le siepi nascondono alcune problematiche: tra le piante possono crearsi dei varchi che gli animali e i bambini possono oltrepassare, mentre le piante necessitano di irrigazione, manutenzione e soprattutto di una potatura costante.


Le staccionate

Gli steccati e le recinzioni in legno in genere sono molto diffuse soprattutto in pianura e in montagna. Si integrano a meraviglia con la natura e l’ambiente. Che sia composta da legno voluminoso o da assi o listelli più o meno larghi, la recinzione in legno, essendo un materiale organico, avrà sempre bisogno di manutenzione sotto forma di sostituzione di elementi, impregnatura o verniciatura.


Recinzioni in legno prefabbricate

Da anni si trovano in commercio le recinzioni prefabbricate in legno, molto estetiche per i giardini di piccole dimensioni e le terrazze. Possono essere composte da elementi opachi o da grate che lasciano la vista parzialmente aperta. In più possono essere attrezzate con portapiante integrati, che danno la possibilità di ammorbidire l’effetto di schermatura e rendere più naturale il risultato.



Anche queste recinzioni avranno bisogno di sostegni o fondamenta proprie, in modo da evitare che possano inclinarsi con il vento.

Muri e muretti

Il mediterraneo è in genere caratterizzato dalle recinzioni in muratura. Che si tratti di muretti di pochi decimetri o di muri di due metri, adatti a proteggere la famiglia dal vento più forte, la pietra è forse l’elemento che davvero accomuna tantissime regioni italiane. Oltre ai muri in pietra puoi optare anche per altri materiali come il cemento armato o i mattoni di vario tipo.


I muretti, in calcestruzzo, mattoni e ancora di più quelli in pietra, hanno bisogno di una buona manodopera che ti permetterà di evitare costruzioni “ondeggianti” o inclinate. Anche qui il muratore dovrà assicurarsi di avere una base solida o dovrà provvedere a costruire delle fondamenta.

Per il resto i muretti possono avere altezze e larghezze molto variabili, la loro costruzione può essere a secco o con malta, in cemento armato, avere un rivestimento di intonaco o dei mattoni o pietre a vista. Tutto dipende dalle disponibilità economiche e dall’estetica che vuoi ottenere.

Recinzioni metalliche

Le recinzioni metalliche possono essere costituite da ringhiere montate su muretti più o meno alti o da elementi prefabbricati a tutta altezza. Anche qui si ripropone il discorso delle fondamenta, molto importanti per evitare pericolosi crolli. La scelta delle ringhiere è vastissima: puoi scegliere tra quelle industriali da verniciare o in ferro battuto, oppure ordinare un prodotto completamente su misura, con forme e dimensioni adeguate alle tue esigenze. Ovviamente, tieni presente che anche i costi si adegueranno alla quantità di lavoro necessario per eseguire un lavoro di questo tipo.



Recinzioni in calcestruzzo

Infine troverai in commercio le recinzioni in calcestruzzo prefabbricate. In genere si tratta di una soluzione in uso negli ambienti di carattere industriale, ma potrebbero rappresentare un’ottima soluzione per case in stile moderno o minimalista, specialmente se abbinate a un giardino ben curato. Come per le altre recinzioni, anche qui ribadiamo la necessità di provvedere con cura al basamento, per evitare il pericolo di crolli rovinosi.


Staccionate: quale scegliere?

Staccionate: quale scegliere?



Staccionata: come e quali scegliere, definizione delle opere per giardini e parchi. Tipologia e scelta dei materiali: staccionata in legno, ferro, plastica, in muratura. Soluzioni ed idee. Normativa. Detrazioni fiscali.



Le staccionate sono soluzioni utili per circoscrivere la proprietà di un giardino o delimitare una determinata zona dello stesso.




Spesso realizzate in legno, sono molto utili per dar vita ad un percorso protetto o per segnare una zona del giardino di casa che si desidera mantenere separata, ad esempio un’area relax o un piccolo parco giochi per bambini.





Staccionate: definizione



Secondo la definizione del vocabolario, la staccionata è un tipo di recinzione che viene utilizzato spesso in campagna ed è costituito da assi di legno  disposte su una o più file orizzontali sovrapposte, e sostenute da pali verticali infissi nel terreno.


Leggi anche: Idee da copiare di recinzioni in legno fai da te con i Pallet

Viene, altresì impiegata anche per delimitare all’aperto, in occasione di eventi sportivi e musicali, le zone riservate al pubblico.

Staccionate materiale



La scelta del materiale per la sua realizzazione è fortemente impattante sull’estetica nonché sul costo finale dell’opera.

Vediamo quali sono i materiali maggiormente utilizzati per la realizzazione delle staccionate.

Staccionata in Legno



E’ il materiale più classico per realizzare una recinzione nel giardino di casa.

Soluzione fra le più economiche, è tuttavia soggetta ad una particolare cura per via del materiale naturale che può essere facilmente aggredito dagli agenti atmosferici e dagli insetti che ne possono corrodere, con il passare del tempo, la struttura.



Si rende necessaria dunque il trattamento preventivo con vernici impregnanti a pennello, operazione che può essere semplicemente eseguita con del pratico fai da te.

Staccionata in Ferro



La recinzione in ferro è una scelta di assoluto pregio.

Dalle produzioni standard per formato e dimensioni ai modelli in ferro battuto realizzate da maestri artigiani, si tratta di una soluzione decisamente più costosa che permette però di assecondare i gusti e le personalità degli acquirenti.

La produzione di fattura artigianale permette di avere particolari rifiniti oltre a poter scegliere modelli coordinati con il cancello ed i parapetti.

Staccionata in Plastica



Soluzione alternativa rispetto al materiale naturale, è l’impiego di plastica per la realizzazione di recinzioni, garantendo la massima resistenza agli agenti atmosferici, non richiedendo alcuna manutenzione costante nel tempo.

Staccionata in Muratura



Sebbene si tratti di un’opera che richieda l’impiego di operai specializzati per la sua realizzazione, oltre ad una progettazione affidata ad un geometra od architetto, la staccionata in muratura garantisce il massimo della sicurezza sia in termini di protezione anti intrusione che in fatto di resistenza, oltre al fatto che la manutenzione richiesta è davvero minima.

Staccionate: idee e soluzioni per giardino



Indipendentemente dal materiale scelto, la recinzione può essere adottata per un motivo di maggior privacy da sguardi indiscreti, dunque con altezze superiore a 180/200 centimetri in modo da rimanere protetti.

Un altro importante motivo per la sua edificazione potrebbero essere determinati condizioni atmosferiche: il terreno situato in una zona particolarmente ventosa può rendere necessaria una recinzione frangivento, solida, al fine di proteggere l’abitazione da raffiche di vento che potrebbero danneggiarla.



Una soluzione più informale potrebbe risultare quella con assi di legno, dipinte in un secondo momento e che potrebbe ricordare i modelli impiegati per separare le villette in America.

Staccionate: normativa



Le recinzioni rientrano ampiamente nella serie di lavori che hanno come obbiettivo l’abbellimento della proprietà personale.

A determinare l’eventuale necessità di pratiche burocratiche è il materiale impiegato nella sua realizzazione.

Il posizionamento di una staccionata richiede l’intervento della burocrazia in base a due vincoli: natura e dimensioni dell’opera e la sua destinazione e funzione.

Una staccionata, quando delimita la proprietà ed è realizzata in ferro, metallo o plastica, rientra fra i lavori di edilizia libera in quanto sono opere anti intrusione.



Diverso il caso della realizzazione di un muro di cinta: l’opera in muratura richiede la SCIA quando la sua edificazione non modifica in maniera sostanziale la conformazione del terreno, avendo funzione pertinenziale poichè svolge la funzione di delimitare, proteggere o al limite abbellire la proprietà.



Tuttavia un primo consiglio è di procedere nei lavori solo dopo essersi accertati presso l’Ufficio Tecnico del Comune della necessità o meno di pratiche burocratiche.


Costruire una staccionata: che legno scegliere?

Costruire una staccionata: che legno scegliere?

 

 

Stai pensando ad una recinzione in legno per il tuo spazio esterno ma non trovi un'idea precisa di cosa ti serve? Grazie alla nostra esperienza dal 2001 cerchiamo di fare un pò di chiarezza.

Innanzitutto sul nome: ogni produttore o negozio chiama questi elementi in modo diverso, volendo provare a dare una logica possiamo dire che:

Per staccionata  o palizzata solitamente si intende una divisione semplice, realizzata con pali in legno di diametro variabile , con montanti verticali di altezza 100 - 150 cm. e traverse orizzontali dritte o a Croce con lunghezza tra i 150 e 200 cm.
Per recinzione si intende una divisione che utilizza sia elementi in legno, ovvero montanti verticali ed eventualmente traverse di rinforzo, che una rete in metallo o plastica.
Per steccato di solito si intende un tipo di divisione più chiusa, disponibili in vari modelli, dai classici steccati con palette verticali arrotondate in testa stile western fino a steccati con design più particolari.

Per quanto rigarda le staccionate capita spesso di ricevere richieste e domande su pali in legno per creare recinzioni da  esterno, spesso però senza che il cliente abbia un’idea chiara di ciò che vuole, dal tipo di legno e al budget. Facciamo un pò di chiarezza sui tipi di legno più utilizzati in Italia per pali e semilavorati da esterno.

 


 

IL LEGNO DI PINO

Il pino è il legno da esterno per eccellenza, utilizzato nei grandi brico, garden e vivai. Infatti è una conifera che cresce nell'Europa centrale e settentrionale ma viene acquistato in tutto il mondo esssendo la specie arborea più importante dal punto di vista econnomico. La sua crescita, molto lenta, lo rende particolarmente resistente ma allo stesso tempo anche un legno tenero, questo permette di assorbire molto bene i trattamenti protettivi.

Il legno di pino al naturale non è molto resistente agli agenti atmosferici. Per renderlo tale è necessario un particolare trattamento: l'impregnazione in autoclave. Questo tipo di trattamentoo consiste nella penetrazione di sali e miscele protettive nella parte più giovane e vulnerabile del tronco ed è finalizzato a rendere il pino resistente agli agenti atmosferici e ai raggi ultravioletti proteggendolo anche da funghi e insetti.

A questo punto il legno impregnato in autoclave assumerà la classica colorazione verdastra data dlala presenza del rame nel trattamento. Un'impregnazione fatta a dovere assicura la durata del manufatto in pino per più di dieci anni. A tal proposito il CEN (Comitato Europero di Normalizzazione) ha individuato diverse classi di impregnazione:

 

I nostri pali in legno di pino hanno tutti certificazione HC4. Per conoscere la classe di impregnazione si può pretendere una certificazione della classe dichiarata (come nel caso dei nostri prodotti) o tagliare una fetta del palo ed osservare la sezione: il trattamento protettivo di colore verdastro deve arrivare più i profondità possibile, questo garantisce la durata ne tempo del vostro palo.

 


 

I PRINCIPALI COMPORTAMENTI DEL LEGNO TRATTATO IN AUTOCLAVE

Quando parliamo di trattamento, facciamo riferimento al fatto che il prodotto impregnato sia protetto da muffe e marcescenze per un certo periodo di tempo.
Ecco di seguito una lista dei fenomeni che si possono riscontrare ma che non possono essere considerati come difetti:

- Il riaffioramento dei sali: durante il processo di impreganzione in autoclave, i sali utilizzati per il trattamento possono portare alla comparsa di piccole macchie verdi sulla superificie del legno. Queste macchie non sono altro che residui di resina colorati dal rame utilizzato per il trattamento del legno e  non hanno nessuna conseguenza sul legno.

- I nodi: Dove cresceva un ramo il profilo mostra il nodo. Questi non costituiscono però difetto di qualità nell’ambito dei prodotti in legno da giardino.

- La differenza tra tinta e colorazione: il trattamento va a penetrare diffeerentemente i diversi strati di densità del legno provocando effetti di colorazione diversi che si attenueranno rapidamente una volta esposto il legno all'esterno

- Fessure e spaccature: Il legno essicato si comporta in maniera irregolare in funzione della sua densità variabile. Gli elementi esterni (temperatura, umidità dell’aria, esposizione al sole) sono elementi che fanno variare l’essicazione. Questo può provocare il manifestarsi di fessure soprattutto nei punti dove il legno ha subito il taglio assiale e longitudinale ( la resistenza meccanica rimane comunque immutata).

- Fresatura: si parla di fresatura ogni volta che un palo tondo irregolare viene lavorato, attraverso una fresatrice, in modo da ottenere un diametro costante. La “rifilatura” (il processo con cui si va a fare la punta al palo per facilitarne la messa a terra) non è sistematica e dipende dalla possibilità tecnica di realizzazione

- Fuori cuore: talvolta risulta necessario lavorare il prodotto all’interno della periferia del tronco al fine di ottenere un legno più stabile rispetto a quello vicino al cuore. Si parlerà in questo caso di taglio “fuori cuore”. Il cuore del tronco (sempre presente nei prodotti a base tonda) può causare la presenza di spaccature o fessurazioni più nette.

- Muffa: Alle alte temperature si può verificare sulle parti più robuste del legno, la comparsa di macchie scure chiamate “fungo dell’azzurramento o bluettatura”. Queste sono funghi microscopici, non danneggiano il legno e che non ne alterano in alcun modo la resistenza. Tale fenomeno, che compare specialmente durante lo stoccaggio del legno, può scomparire grazie all’azione di agenti atmosferici (quali la pioggia, il sole e il vento) oppure utilizzando uno straccio bagnato con acqua per strofinare e pulire la zona interessata del legno.

- Ossidazione: L’ossidazione scaturisce dalla decolorazione del prodotto dovuta all’azione dei raggi solari UV. Si può evitare coprendo il prodotto, prima della sua posa o installazione, con pittura o vernice a base d’acqua per il legno. Lo scopo chiaramente è quello di ottenere un filtro contro l’azione dei raggi UV.

- Resina: Durante il trattamento in autoclave dei legni cosiddetti resinosi (come l’abete, il pino silvestre, etc.) la pressione può far provocare la fuoriuscita di resina sulla loro superifcie. E’ sufficiente rimuoverla attraverso una spatola o un’essenza di trementina.

 

IL LEGNO DI CASTAGNO

Il legno di castagno è uno dei più conosciuti e diffusi per la realizzazione di pali e semilavorati da esterno, in quanto è uno dei legni più antichi utilizzati per queste lavorazioni. Il castagno è un legno "storico" italiano e ancora oggi la maggior parte è made in Italy. Presenta uno dei più bassi coefficienti di dilatazione, è molto duraturo e resistente all'umidità senza alcun bisogno di trattamento. La sua venatura e durevolezza lo rende difficile da lavorare e la forma irregolare della pianta fan si che vengano messi sul mercato sommariamente scortecciati.

 


 

Sul prezzo del palo in castagno va ad incidere molto il fatto che siano scortecciati e selezionati più dritti possibile, così come la zona di origine della pianta. Per esempio un palo in legno di Castagno ø 8 x 200 cm, acquistato in grande quantità da un contadino in Nord Italia può avere un prezzo intorno ai 2-3 € al pezzo, ma sarà poco dritto e soprattutto molto meno duraturo all'esterno. Il prezzo per lo stesso tipo di palo raccolto in Sud Italia, selezionato e scortecciato meccanicamente ed essiccato all'aria può superare € 10 e al pezzo, quattro volte tanto. Molto dipende dalle esigenze ed aspettative personali.

 

LEGNO DI ROVERE

Il legno di rovere è impiegato soprattutto per la realizzazione di mobili e pavimenti, sarà quindi più raro riuscire a trovare sul mercato dei pali in rovere. In realtà il rovere è un ottimo legno da esterno, in particolare se di provenienza Russa o Scandinava e quindi cresciuto in ambienti estremi. Hanno massima durata (50 anni) senza bisogni di alcun trattamento o verniciatura. Inoltre il colore molto chiaro eprivo di nodi le rende perfette per staccionate e altre strutture.

 

Unica avvertenza: questo legno nel primo periodo di esposizione allìesterno ha una forte fuoriuscita di tannino, che potrebbe macchiare di giallo le staffe in metallo che reggono i montanti di una staccionata. Basterà comunque pulire le staffe con un detergente dommestico per farle tornare come nuove. Come tutti i legni anche il Rovere è soggetto a fessurazione longitudinale e cambio di colore, che ovviamente non compromettono in alcun modo la durata della nostra staccionata.

Il prezzo dei pali in Rovere è chiaramente più alto rispetto agli altri sopra elencati, in base alla bellezza e alle caratteristiche. Inoltre non riuscirai a trovarli in un brico qualunque ma solo in negozi professionali specializzati. E' il prodotto giusto per chi vuole investire su qualcosa che durerà a vita.

 

LEGNO DI ROBINIA - ACACIA

La robinia è un legno molto diffuso in Italia: tendono a deformarsi, sono difficili da lacorare e da essicare. Per questo sono utilizzati soprattutto nelle opere agrigole molto semplici, come sostegno di viti e coltivazioni, contenimento della terra ecc...

Il prezzo è molto variabile e difficilmente si trova nei negozi ma va cercato direttamente alla fonte presso un contadino o taglialegna.

 

I LEGNI TROPICALI

Questi legni sono molto costosi senza dare vantaggi veri e propri ma semplicemente un aspetto estetico migliore. Costano fino a 20 volte tanto rispetto agli altri tipi di legno. Per questo motivole produzioni si limitano a paletti squadrati utilizzati come sostegno per steccati e cancelli. Stanno scomparendo dal mercato.

Staccionata in legno

Staccionata in legno

La staccionata in legno è una delle soluzioni più economiche e veloci da realizzare per recintare la propria abitazione o giardino che, oltre a tenere lontani gli estranei, può essere installata anche per scopi estetici.


Caratteristiche

La maggior parte delle staccionate che si possono trovare in parchi, giardini o abitazioni private sono costruite in legno.

Originariamente le staccionate in legno erano realizzate soprattutto per proteggere la proprietà privata dalle intrusioni, ma anche per mantenere entro i propri confini animali domestici e bestiame. In molti casi le staccionate odierne svolgono ancora le medesime funzioni, delimitando il perimetro del giardino e della casa, e tutelando la sicurezza delle persone che vi abitano.

Non necessariamente, però, le recinzioni vengono installate solo per scopi utilitaristici: esistono infatti staccionate in legno che svolgono prevalentemente una funzione estetica o decorativa. Staccionate di pochi decimetri di altezza possono essere utilizzate, ad esempio, per delimitare il perimetro di aiole o di spazi gioco per i bambini.

In commercio si possono trovare molte diverse tipologie di staccionate, ed uno degli elementi di distinzione più importanti è rappresentato dal materiale con cui sono realizzate. I materiali di gran lunga più impiegati sono l’intramontabile legno e il PVC.

Tipi di legno

Per associazione di idee, quando si pensa ad una staccionata probabilmente la prima cosa che viene in mente è il legno. E, in effetti, proprio questo materiale da costruzione è storicamente il più utilizzato per realizzare queste recinzioni.

I vantaggi dell’utilizzo di una staccionata in legno sono presto detti: innanzitutto si tratta di una materia prima naturale, che ben si adatta al contesto del giardino. Il legno è un materiale di bell’aspetto, resistente nel tempo e molto versatile, che può assumere forme e colori molto diversi.

Le staccionate in legno sono ad esempio consigliate per le abitazioni che si trovano in collina, in montagna o comunque fuori città, dal momento che conferiscono al giardino un aspetto rustico e naturale. Naturalmente nulla vieta di installare una staccionata in legno in un contesto urbano, ma con risultati non sempre soddisfacenti dal momento che questo materiale può “stonare” tra cemento, muri e asfalto.

Le tipologie di legno più comunemente impiegate per la realizzazione delle staccionate sono abete, larice e pino. Dal momento che le staccionate si trovano continuamente esposte agli agenti atmosferici, è indispensabile che il legno sia trattato con particolari sostanze impregnanti che garantiscano la protezione contro sole, precipitazioni ed inquinamento.

Agro-fotovoltaico: condizioni essenziali e vantaggi per gli operatori agricoli ed energetici

Agro-fotovoltaico: condizioni essenziali e vantaggi per gli operatori agricoli ed energetici

Giovanni Simoni

Rinnovabili e agricoltura devono avere obiettivi comuni. Quali sono gli approcci più corretti per dare benefici anche alla comunità locale.



L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2020 della rivista bimestrale QualEnergia

Con il termine Agro-Voltaico (in breve Agv) s’intende denominare un settore, non del tutto nuovo, ancora poco diffuso, caratterizzato da un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica attraverso l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici.

Gli esempi del passato si sono praticamente concentrati tutti nella realizzazione di “serre fotovoltaiche” nate non per necessità agricole, ma per realizzare un sostegno a moduli fotovoltaici da sistemare su terreni sui quali, altrimenti, non sarebbe stato possibile installare impianti.

Il rapporto tra gli investitori e l’operatore agricolo, nella gran parte dei casi, è andato progressivamente deteriorandosi con il risultato che molte di queste realizzazioni non hanno resistito alle ispezioni del Gse e sono state di fatto abbandonate. Tutto ciò non ha fatto che alimentare giustificati sospetti su tutte le iniziative proposte provenienti dagli “investitori energetici”: proposte che partivano tutte da interessi ben diversi da quelli del mondo agricolo.

È vero che il settore Agv nasce dalla spinta degli operatori energetici ed è anche vero che il problema dell’occupazione di aree agricole in favore del fotovoltaico è, nei fatti, un problema “virtuale” quando si confrontano i numeri.

Se si valuta l’impatto che il fotovoltaico avrebbe se nei prossimi dieci anni (da qui al 2030) fosse interamente costruito su terreni agricoli (ipotesi del tutto fantasiosa) si dovrebbe concludere che il problema “non esiste”.

Guardiamo i numeri:

  • sulla base dei dati Istat circa 125mila ha di terreno agricolo sono abbandonati ogni anno in Italia;
  • se si costruissero i circa 30/35 GW di fotovoltaico nuovo come previsto dal Pniec al 2030, occorrerebbero circa 50mila ha, meno della metà dell’abbandono annuale dall’agricoltura.

Questo, non ci permette di affermare che il problema “non esiste” perché, anche senza espliciti divieti, tutte le amministrazioni locali italiane e le grandi organizzazioni agricole hanno un atteggiamento di “assoluta prudenza” o di sostanziale opposizione a concedere l’autorizzazione alla costruzione di impianti fotovoltaici su tali terreni.

Anche a livello nazionale il recente decreto Fer 1 ha escluso, dai registri e dalle aste dei prossimi anni la partecipazione di progetti a impianti realizzati su terreni agricoli.

Conflitti solari

Si tratta di una percezione generalizzata che trasforma il conflitto virtuale in problema reale che si traduce, come minimo, in un forte rallentamento dello sviluppo del fotovoltaico.

È evidente che sia meglio utilizzare superfici diverse dai terreni agricoli, ma tutti gli operatori “energetici” e i decisori politici sanno che gli ambiziosi obiettivi del Pniec al 2030 non si potranno raggiungere senza una consistente quota di nuova potenza fotovoltaica costruita su terreni agricoli.

La cosiddetta “generazione distribuita” non potrà fare a meno, per molti motivi, d’impianti “utility scale” che potranno occupare nuovi terreni oggi dedicati all’agricoltura per una quota, se si manterranno le stesse proporzioni di quanto installato fino ad oggi, di circa 15/20mila ha (meno del 20% dell’abbandono annuale).

Perché ciò sia possibile, è necessario che siano adottati nuovi criteri di progettazione degli impianti, adottando criteri e metodi di gestione completamente nuovi: sono le tecniche e i metodi del nuovo settore Agv.

In altre parole, si ritiene che la gran parte degli impianti utility scale possa trovare il consenso di tutte le parti coinvolte (Autorità locali, organizzazioni agricole e imprese agricole e imprese energetiche), solo nello sviluppo dell’Agv.

Giga agricoli

Dalle nostre dirette esperienze appare possibile un obiettivo decennale di circa 10/12 GW di nuovi impianti accompagnata da un moltiplicatore di almeno 6/7 volte la redditività del sistema agricolo attivo sugli stessi terreni.

Vediamo come. Innanzitutto, è necessario che le metodologie dell’Agv siano preferibilmente applicate su terreni agricoli in pieno esercizio e con imprenditori agricoli impegnati a restare sul campo per gli anni successivi.

È vero che si può “ripensare” ai terreni abbandonati, ma è illusorio pensare, almeno per i grandi numeri, che sia facile far ritornare su quei terreni operatori agricoli.

Questa pre-condizione è di fondamentale importanza, sia perché, come vedremo, l’Agv opera in una situazione di convergenti interessi tra i settori agricolo ed energetico sia perché tende a radicare l’imprenditore agricolo al territorio e a ridurre, di conseguenza, il tasso annuale di abbandono precedentemente accennato.

Una seconda, altrettanto importante condizione, è che l’approccio al progetto parta essenzialmente dalle esigenze del mondo agricolo, ribaltando totalmente l’approccio del passato, quando erano in vigore gli incentivi, e il tema delle autorizzazioni su terreni agricoli per il fotovoltaico non poneva problemi particolari, i prezzi dei terreni agricoli che gli operatori fotovoltaici erano disposti a pagare sono arrivati anche a più  5000 €/ha/anno per i soli diritti di superficie per una durata di 20/25 anni.

Come ampiamente dimostrato questi prezzi di grande soddisfazione per i proprietari terrieri, hanno avuto l’effetto di incentivare l’abbandono delle campagne. In quasi nessuno di quei terreni vi sono ancora attività agricole!

Oggi la situazione è completamente mutata: l’esistenza di una “pregiudiziale” su terreni agricoli e l’assenza d’incentivi impongono necessariamente un atteggiamento, da parte degli investitori energetici, adattato alle nuove circostanze del mercato e della sensibilità “politica” locale.

Le prime esperienze dirette in progetti utility scale in Puglia ci dicono che l’approccio Agv può essere una soluzione fondamentale.

Seguendo alcuni princìpi:

  • produzione agricola e produzione di energia devono utilizzare gli stessi terreni;
  • la produzione agricola deve essere programmata considerando le “economie di scala” e disporre delle aree di dimensioni conseguenti;
  • andranno preferibilmente considerate eventuali attività di prima trasformazione che possano fornire “valore aggiunto” agli investimenti nel settore agricolo;
  • la nuova organizzazione della produzione agricola deve essere più efficiente e remunerativa della corrispondente produzione “tradizionale”;
  • la tecnologia per la produzione di energia elettrica dovrà essere, prevalentemente, quella fotovoltaica: la più flessibile e adattabile ai bisogni dell’agricoltura;
  • il fabbisogno di acqua delle nuove colture deve essere soddisfatto, prevalentemente, dalla raccolta, conservazione e distribuzione di “acqua piovana”. L’energia elettrica necessaria dovrà essere parte dell’energia prodotta dal fotovoltaico installato sullo stesso terreno.

Un esempio che Kenergia sta portando avanti può aiutare a chiarire i motivi alla base di un progetto Agv “utility scale” in Puglia.

Mutazione sostenibile

Dopo aver verificato la disponibilità della proprietà a una profonda trasformazione delle proprie attività agricole, abbiamo lavorato a stretto contatto con l’imprenditore e, insieme a specialisti agronomi, studiata una trasformazione delle colture sviluppabili all’interno degli stessi terreni occupati da fotovoltaico. Un cambiamento colturale che, senza un sostegno finanziario da parte del “fotovoltaico”, non sarebbe stato nelle disponibilità dell’impresa agricola.

Trasformare l’utilizzo di un terreno agricolo da una coltura decennale a una nuova richiede tempi generalmente lunghi e finanziariamente impegnativi.

Nel nostro caso, per esempio, la nuova coltura selezionata (un mandorleto bio-intensivo) richiede almeno tre anni dalla piantumazione prima di fornire un primo reddito, richiede un certo nuovo livello di meccanizzazione e di automazione dei processi e, nel caso in questione, richiede un sistema d’irrigazione efficiente e nuove quantità di acqua.

Nella scelta della nuova coltura si sono tenuti in conto i risultati di diverse ricerche sviluppate da altri operatori a livello nazionale e internazionale. Da tali esperienze è apparso sufficientemente dimostrato che nei campi Agv le piante siano più protette dagli aumenti di temperature diurne e, ugualmente dalle forti e repentine riduzioni delle temperature notturne.

Un altro fattore determinante riguarda la domanda di acqua. Un maggior ombreggiamento dovuto alla presenza discreta di pannelli solari, non appare essere un fattore determinante della crescita e nello sviluppo della gran parte delle coltivazioni esaminate ma, al contrario, in alcuni casi studiati presso l’Università americana dell’Oregon, riduce la domanda di acqua necessaria alle coltivazioni: in alcune, e sempre più numerose località, la diminuzione della domanda di acqua irrigua per effetto della semi-copertura fotovoltaica, può ridurre i rischi sulla produzione dovuti ai cambiamenti climatici.

Da non trascurare gli effetti dell’aumento dell’umidità relativa dell’aria nelle zone sottostanti i moduli che, da un lato produce effetti favorevoli sulla crescita delle piante e dall’altro riduce la temperatura media dei moduli con evidenti vantaggi nella conversione in energia elettrica.

Un tema che richiede particolare attenzione è quello della gestione di due attività tradizionalmente separate come quelle agricole e quelle della produzione di energia.

Un’importante innovazione, oggi sotto esame, è quella di iniziare a delegare all’operatore agricolo tutti gli aspetti non specialistici della manutenzione dell’impianto fotovoltaico.

In un futuro le pratiche Agv potranno suggerire, con evidenti vantaggi economici e assicurativi, la creazione di nuove figure professionali che inglobino nell’operatore agricolo anche le responsabilità di O&M dell’insieme degli impianti installati sui territori agricoli fino alla formazione di vere e proprie squadre specializzate nella gestione locale di tutti gli aspetti di un campo Agv.

Il futuro operatore dell’agro-voltaico è una nuova figura professionale che deve poter essere parte del processo di manutenzione degli impianti e responsabile della produzione agricola.

In conclusione, l’adozione di investimenti nell’Agv offre numerosi vantaggi sia agli operatori agricoli sia a quelli energetici.

Per gli operatori agricoli:

  • il reperimento delle risorse finanziarie necessarie al rinnovo ed eventuali ampliamenti delle proprie attività;
  • la possibilità di moltiplicare per un fattore 6/9 il reddito agricolo;
  • la possibilità di disporre di un partner solido e di lungo periodo per mettersi al riparo da brusche mutazioni climatiche;
  • la possibilità di sviluppare nuove competenze professionali e nuovi servizi al partner energetico (magazzini ricambi locali, taglio erba, lavaggio moduli, presenza sul posto e guardiania, ecc.).

Per gli operatori energetici:

  • la possibilità di realizzare importanti investimenti nel settore di interesse anche su campi agricoli;
  • l’acquisizione, attraverso una nuova tipologia di accordi con l’impresa agricola partner, di diritti di superficie a costi contenuti e concordati;
  • la realizzazione di effetti di mitigazione dell’impatto sul territorio attraverso sistemi agricoli produttivi e non solo di “mitigazione paesaggistica”;
  • la riduzione dei costi di manutenzione attraverso l’affidamento di una parte delle attività necessarie;
  • la possibilità di un rapporto con le autorità locali che tenga conto delle necessità del territorio anche attraverso la qualificazione professionale delle nuove figure necessarie l’offerta di posti di lavoro non “effimera” e di lunga durata.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2020 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Ibridazione obbligatoria”.


Agro-fotovoltaico: cos’è e quali vantaggi può portare

Agro-fotovoltaico: cos’è e quali vantaggi può portare

Gloria Cipressi / 24 Settembre, 2019 / Sostenibilità

L’agro-fotovoltaico può essere una soluzione efficace per ottimizzare i rendimenti di energia e agricoltura e ridurre i consumi di acqua: scopri di più

Con il costante aumento della popolazione mondiale e, di conseguenza, del fabbisogno energetico e della produzione alimentare, diventa più che mai necessario trovare delle modalità efficaci che possano soddisfare al meglio tali necessità.

Recenti studi stanno via via dimostrando i vantaggi che si possono ottenere installando un impianto fotovoltaico su terreni agricoli, in modo da sfruttare il terreno coltivabile e, al tempo stesso, produrre energia: ecco quali sono le ultime novità in materia.

Agro-fotovoltaico: impianti su terreni agricoli, nel segno della sinergia

Le prime ipotesi sui benefici dell’agro-fotovoltaico risalgono al 1981, quando Adolf Goetzberger (fondatore del Fraunhofer Institute) pubblicò un articolo dal titolo emblematico: Kartoffeln unterm Kollektor, ovvero letteralmente “Patate sotto i pannelli”.

Da lì si sono succedute diverse sperimentazioni, e dal 2016 è stato avviato in Germania (proprio dal Fraunhofer Institute) un progetto pilota con moduli fotovoltaici installati su supporti alti circa 5 metri, al di sotto dei quali poter quindi coltivare prodotti agricoli.

Nello specifico, il progetto “Agrophotovoltaics – Resource Efficient Land Use (APV-RESOLA)” si trova a Heggelbach, comunità agricola di Demeter, in un terreno situato vicino al Lago di Costanza.

I moduli installati hanno una potenza di 194 kW e coprono quattro tipi di colture: patate, frumento invernale, trifoglio e sedano. Vediamo quali sono stati i rendimenti ottenuti.

Fotovoltaico e agricoltura: i risultati del progetto tedesco

Se nel 2017 i risultati hanno evidenziato un’efficienza del suolo del 160%, l’anno seguente – complice anche l’estate molto calda del 2018 – le prestazioni dell’impianto agro-fotovoltaico sono stati anche superiori.

Nello specifico, il confronto rispetto a un campo agricolo senza pannelli ha registrato un aumento del raccolto in tre delle quattro colture (solo il trifoglio ha segnato un dato negativo, del -8%):

  • sedano: + 12%;
  • patate: + 3%;
  • grano invernale: +3%.

Prendendo come riferimento un ettaro coltivato a patate, lo studio evidenzia come, invece di avere un campo riservato solo alla coltura dei tuberi o solo all’impianto fotovoltaico, l’azione combinata del progetto agro-fotovoltaico permette di aumentare in modo significativo la percentuale di efficienza di utilizzo di quel terreno.

Infatti, con pannelli installati sopra al campo agricolo, una soluzione non esclude più l’altra: l’efficienza nell’uso del suolo per l’impianto fotovoltaico è inferiore (83% invece del 100%) mentre quella del terreno leggermente superiore (103% invece del 100%), grazie alle condizioni climatiche favorevoli create sotto l’impianto stesso.

Potendo, però, sommare le due percentuali (83% e 103%) quell’ettaro di terreno coltivato a patate registra di conseguenza una resa del suolo del 186% invece del 100%.

I vantaggi dell’agro-fotovoltaico

Come evidenziato dal progetto tedesco, i vantaggi dell’agro-fotovoltaico sarebbero molteplici.

Oltre ad aumentare i rendimenti del terreno agricolo, il sistema influenza anche la distribuzione dell’acqua durante le precipitazioni e la temperatura del suolo.

Quest’ultima, infatti, in primavera e in estate si è dimostrata inferiore rispetto a un campo senza sistema agro-fotovoltaico, mentre la temperatura dell’aria è rimasta la stessa.

Le condizioni di ombreggiamento parziale sotto i pannelli semi-trasparenti, dunque, hanno permesso alle colture di affrontare meglio le condizioni calde e secche: un ulteriore elemento di vantaggio per l’applicazione del sistema nelle zone più aride, anche se – come riportato in questa nota del Fraunhofer Institute legata al progetto – andrebbero comunque svolte ulteriori prove in regioni più umide e con condizioni climatiche diverse.

Quel che è certo è che l’agro-fotovoltaico sta attirando l’interesse di diversi studiosi in giro per il mondo (qui una recente ricerca svolta dall’Università dell’Arizona) e che anche in Italia potrebbe essere interessante iniziare ad avviare dei progetti di questo tipo: sarebbe un modo per capirne le potenzialità e produrre al tempo stesso cibo ed energia (anche, ad esempio, nei tanti terreni abbandonati presenti sul nostro territorio).

Vuoi conoscere altri progetti di sostenibilità legati all’energia solare? Scopri cosa sono le Virtual Power Plant o il progetto del fotovoltaico galleggiante di Floating Solar.

Bonifica e Rimozione serbatoi interrati di gasolio

Bonifica e Rimozione serbatoi interrati di gasolio



I vecchi serbatoi di gasolio (o nafta pesante) da riscaldamento sono un vero pericolo per l'ambiente. La loro bonifica e rimozione va fatta subito
I Vecchi Serbatoi di Gasolio e Nafta Pesante da riscaldamento oramai sono in via di dismissione, sostituiti dal Gas Metano o dalla Geotermia.
La loro permanenza nel sottosuolo, però, rappresenta un grave pericolo per l'ambiente e le acque sotterranee.
Spesso questi serbatoi sono fatti da un lamierino semplice, spesso pochi millimetri, e dato che sono interrati, l'umidità e le correnti vaganti li corrodono, causando la perdita di liquidi pericolosi.
Per evitare costose operazioni di Bonifica del Sito Inquinato, una volta dismesso l'impianto a gasolio o nafta, bisogna immediatamente pulirlo e rimuoverlo, come anche prevedono molti regolamenti regionali e comunali (fra i più importanti citiamo quello del Comune di Milano all'art. 10 comma 6 del Regolamento Edilizio).
L'ARPA della Regione Lombardia ha creato delle Linee Guida molto importanti da seguire con attenzione.
Per prima cosa per dismettere un vecchio serbatoio interrato è sempre meglio rivolgersi ad una ditta specializzata con anche un valido consulente ambientale.
Bisogna dare comunicazione al Comune ed all'ARPA d'appartenenza, con un certo preavviso, dell'inizio delle operazioni di pulizia e dismissione.
La ditta specializzata, una volta verificate le condizioni del serbatoio, provvederà ad aprire il "passo d'uomo" ed a pulire l'interno della cisterna, aspirando i liquidi e le morchie pericolose.
Tali sostanze andranno, poi, smaltite in appositi impianti con rilascio del Formulario Rifiuti.
Una volta aspirati i liquidi, si provvederà ad "arieggiare" la cisterna ed a verificare la presenza di potenziali gas esplosivi (gas free).
Fatto ciò si fara la prova di tenuta, per verificare se la cisterna è impermeabile o vi sono dei fori.
In caso negativo (presenza di fori) si farà un ispezione interna (con personale addestrato) per capire dove ci sono le falle.
L'esito delle operazioni sopraillustrate va comunicato agli Enti, che possono decidere di fare delle indagini ambientali di controllo (soprattutto quanto la cisterna non supera la prova di tenuta).
Il sebatoio, poi, può essere inertizzato (riempiendolo ci calcestruzzo, sabbia, argilla, ecc.) oppure deve essere estratto e smaltito a sua volta come rifiuto.

E' sempre importante rivolgersi a ditte specializzate, che seguano il cliente in tutte le sue esigenze e nei rapporti con gli Enti, assicurando una corretta gestione della dismissione del serbatoio, senza danni per l'ambiente e problematiche amministrativo/legali.

Smaltimento cisterna di gasolio? Ecco cosa fare

Le operazioni preliminari, i costi, i tempi e le modalità per smaltire una cisterna

 

Il mancato uso di strumenti di prevenzione comporta il danneggiamento o l’usura della cisterna di gasolio.

Prima di procedere allo smaltimento scopri quali azioni compiere per tentare il ripristino dell’area danneggiata e come eventualmente agire per provvedere alla sua rimozione.

Cisterne di gasolio: le cause che portano allo smaltimento

Le cisterne di gasolio sono involucri destinati al contenimento di liquidi spesso pericolosi, come il gasolio; liquidi i cui detriti, se depositati sul fondo, possono provocare numerosi problemi. Inoltre, le cisterne, fisse, mobili, interrate o fuori terra, possono essere deteriorate dal contatto di agenti esterni.

Prima di procedere alle operazioni di smaltimento il gestore della cisterna è tenuto ad eseguire una serie di operazioni dettate e tutelate dal D. Lgs. 506/2006; una norma in materia ambientale che tutti i possessori di cisterne sono tenuti a conoscere e rispettare.

Cosa fare prima di smaltire una cisterna

Le azioni che precedono lo smaltimento di una cisterna sono volte al ripristino del problema e alla messa in sicurezza dell’ambiente circostante.
Prima dell’avvio delle operazioni è necessario comunicare al comune e all’ARPAC di appartenenza l’inizio delle operazioni di pulizia e dismissione.

Contattata, poi, un’azienda specializzata si procede con gli interventi di messa in sicurezza. Questi si distinguono in interventi di messa in sicurezza operativa e interventi di messa in sicurezza permanente. Ciò che distingue i primi dai secondi è la natura della loro esecuzione: gli interventi di messa in sicurezza operativa possono essere eseguiti durante l’attività produttiva del sito.

Gli interventi di messa in sicurezza permanente, invece, vengono svolti isolando in via definitiva le fonti di inquinamento dalle matrici ambientali presenti nel sito.

La dismissione è la fase successiva, una procedura delicata caratterizzata da diverse azioni:

  • Verifica gas free prima dell’inizio delle operazioni
  • Apertura passo d’uomo con strumentazione anti scintille
  • Ventilazione della cisterna con strumenti antideflagranti
  • Svuotamento e bonifica serbatoio
  • Prova finale gas free ed eventuale prova di tenuta        

Al termine dell’ultima prova di gas free bisogna accertarsi di aver ricevuto la certificazione di avvenuta bonifica e aggiornare gli enti allertati.

La prova di tenuta finale è fondamentale per comprendere come procedere, se scegliere di inertizzare e ripristinare l’integrità della cisterna o se optare per il suo smaltimento.

Come smaltire una cisterna di gasolio: modalità, tempistiche e costo

Smaltire una cisterna significa rimuoverla dal luogo in cui è situata e trasferirla in impianti di smaltimento, di recupero o di riciclo.

La cisterna da smaltire se interrata va rimossa con automezzi predisposti allo scavo e poi caricata e trasportata al sito di destinazione.
Infine, dopo lo smaltimento, è necessario assicurarsi che non ci sia altra contaminazione del fondo scavo ed effettuare, dunque, un campionamento.

Non è facile definire in quanto tempo e a che prezzo è possibile ultimare lo smaltimento di una cisterna. Tutto dipende dalla durata di ogni singola operazione svolta e da ciò che viene rilevato a seguito di ogni verifica.

Puoi prevenire l’usura e i danni della tua cisterna di gasolio

Un modo per prevenire il deterioramento della cisterna ed evitare il suo smaltimento c’è: puoi installare Fleet sui serbatoi della tua flotta aziendale e verificare costantemente lo stato delle tue cisterne.

Non farti trovare impreparato; se il livello del gasolio presente in cisterna diminuisce anche se non vengono effettuate erogazioni vuol dire che c’è un problema.
I segnali non vanno trascurati.

Scopri come Fleet può giovare alla tua gestione aziendale.




Morbi in sem

Cisterne del Gasolio inertizzazione , dismissione

Dismissione Cisterne di Gasolio














Bonifica dei Serbatoi e loro messa in sicurezza.

INERTIZZAZIONE SERBATOIO
Lavori nel rispetto delle normative ambientali, disciplinati dal decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006.
Le fasi in cui consiste la bonifica sono le seguenti:
Verifica GAS Free prima dell'inizio delle operazioni;
Apertura passo d'uomo con strumentazione antiscintille;
Ventilazione con strumenti ATEX (antideflagranti);
Svuotamento serbatoio;
Bonifica serbatoio;
Prova finale "gas-free" o eventuale prova di tenuta serbatoio.
Rilascio dell'attestazione di avvenuta bonifica, una relazione dove si certifica che la cisterna è stata regolarmente bonificata e il contenuto è stato smaltito a norma di legge.
Nell'ipotesi di inertizzazione si procede al riempimento della cisterna con "magrone" o "sabbia".

RIMOZIONE SERBATOIO
In caso di rimozione della cisterna gasolio si procede allo scavo ed estrazione con idonee attrezzature di movimentazione e carico su automezzo autorizzato al trasporto rifiuti per il conferimento ad impianto di smaltimento o recupero.
Campionamenti ed analisi rappresentative del fondo scavo al fine di accertare l'assenza di contaminazioni.
Il tutto a tutela del responsabile amministratore o legale rappresentante.






20 NUOVE DOMANDE SUI SERBATOI INTERRATI


20 NUOVE DOMANDE SUI SERBATOI INTERRATI

1. A proposito di serbatoi a servizio di impianti di produzione calore, di capacità non superiore ai 15 mc, si intende il singolo serbatoio o, in caso di più serbatoi, la loro sommatoria?

Nel caso di più serbatoi collegati senza intercettazione (batterie di recipienti), questi ultimi devono considerarsi come un unico serbatoio di capacità pari alla somma di tutti i recipienti collegati: pertanto, essi ricadono nel campo di applicazione del decreto se detta somma supera i 15 m3

2. Per i serbatoi interrati di capacità inferiore a 1 mc non si applica alcuna norma?

Le misure di protezione ambientale indicate nel decreto non si applicano, tuttavia l’assenza di queste garanzie non fa venire veno la responsabilità del gestore in caso di inquinamento. Quindi il consiglio è ancora quello di evitare l’interramento o, nell’impossibilità, di installare almeno serbatoi a doppia camera o inseriti in vasca di contenimento.

3. Per i serbatoi destinati a contenere oli minerali si applica il decreto 24 maggio 1999 n.246 o il DPR 18 aprile 1994 n.420?

Il DPR 420/94 si applica in relazione alle procedure e alle competenze. I requisiti di protezione ambientale sono sempre quelli previsti dal DM 246/99.

4. Per i nuovi serbatoi interrati che si intende installare deve essere presentata domanda o è sufficiente una autocertificazione?

Si devono considerare due aspetti. Il DM 246/99 ha innovato per quanto riguarda i requisiti di protezione ambientale dei serbatoi interrati, rimane invece inalterata la disciplina in materia edilizia. Trattandosi di un’opera fissa che comporta una trasformazione del territorio è soggetta alla normativa urbanistico-edilizia, in specie alla autorizzazione edilizia che deve essere rilasciata dal Comune. Oltre ai normali vincoli a cui sono assoggettate tute le opere edilizie si aggiungono ora i requisiti di costruzione fissati dal DM citato. Secondo i principi fissati dal DPR 447/99, regolamento di sportello unico, è necessario raccogliere tutti i procedimenti in una unica soluzione temporale per l’esame dei diversi enti. Pertanto alla domanda di autorizzazione edilizia dovrà essere allegata anche la documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti fissati dal DM 246/99 e una copia della domanda dovrà essere inviata all’ARPA per il parere di competenza.

5. E’ possibile imporre criteri più restrittivi di quelli previsti dal decreto (esempio, prove di tenuta) oppure misure integrative (esempio, monitoraggio del terreno, pieziometri, ecc.) nel caso di significativi livelli di rischio?

In sede di autorizzazione all’installazione del serbatoio ovvero dell’impianto cui è annesso il serbatoio, l’autorità competente può motivatamente imporre prescrizioni più restrittive od aggiuntive rispetto agli adempimenti imposti dal D.M. 246/99.

6. Devono essere registrati i serbatoi non soggetti a concessione o autorizzazione?

Il termine "concessione" o "autorizzazione" a cui fa riferimento l’art.5 del decreto trae significato dalla disciplina in materia di oli minerali o da quella in materia di distribuzione di carburanti. In entrambi i casi numerosi sono stati i provvedimenti che hanno rimesso mano alla ripartizione delle competenze e alle modalità di rilascio degli atti di assenso comunque denominati, sia a livello centrale che periferico, per cui oggi si renderebbe necessario effettuare una ricognizione, Regione per Regione, per comprendere quali sono stati i mutamenti relativi all’applicazione di tali discipline.

In ogni caso, quale ne sia la conseguenza, rimane inalterata la normativa in materia edilizia e quindi ogni serbatoio, prima dell’installazione, deve essere stato autorizzato dal Comune.

Pertanto vige sempre l’obbligo della registrazione di cui al D.M. 246/99 così come si applicano i requisiti fissati dallo stesso.

7. E’ valida la registrazione effettuata su moduli non conformi all’Allegato A o B del D.M. 246/99?

Si considera valida, ai fini del D.M. 246/99, la registrazione realizzata con moduli diversi da quelli indicati nel decreto, purché corredati di tutti i dati indicati negli Allegati A o B, a seconda che si tratti, rispettivamente, di serbatoio esistente o nuovo. Qualora i dati risultino incompleti, sarà cura di ARPA richiedere le necessarie integrazioni, eventualmente specificando di utilizzare l’apposita modulistica.

8. A cosa si riferisce l’art.5, comma 3, del decreto quando nomina il RD 27 luglio 1934 n.1265?

Si tratta, come noto, del testo unico delle leggi sanitarie. L’art.220 del TULS regola le nuove costruzioni. E’ il riferimento normativo sulla base del quale il Sindaco, su parere ARPA, autorizza l’installazione del serbatoio.

9. L’articolo 6, comma 1 del decreto dispone che "il soggetto che intende installare un nuovo serbatoio interrato o un impianto comprendente nuovi serbatoi interrati…trasmette all’Amministrazione competente i moduli di registrazione dell’Allegato B…". Perché nell’Allegato B sono riportate alcune dizioni che potrebbero avere senso solo per i serbatoi esistenti?

Risulterebbero contraddittorie alcune voci riportate nell’Allegato B, le quali si adattano chiaramente a descrivere un serbatoio già installato ed in funzione ("in uso/temporaneamente fuori uso", sostanze "attualmente" in stoccaggio). E’ evidente che si tratta di un errore derivante dall’approssimazione con la quale spesso si redigono le leggi.

10. Vige l’obbligo di registrazione anche per i serbatoi attualmente utilizzati, previo svuotamento o bonifica, per stoccaggio di acqua ovvero riempiti con materiale inerte?

Il D.M. 246/99 prescrive la registrazione di tutti i serbatoi interrati che contengono ovvero hanno contenuto le sostanze di cui al D.Lgs. 132/92 (ora D.Lgs. 152/99).In particolare, per quanto riguarda i serbatoi esistenti, l’articolo 10 del decreto ne prevede la registrazione anche se "fuori uso, svuotati e bonificati". In particolare, nella parte VI, punto 1 dell’Allegato A, relativa allo stato del serbatoio, viene specificato che può trattarsi di serbatoio "vuoto"- nel qual caso va indicata la sostanza precedentemente contenuta- ovvero "permanentemente fuori uso".

11. Cosa si intende per dispositivo di sovrappieno del liquido?

Il riferimento è all’art.247 del DPR 547/55 il quale prevedeva di dotare le tubazioni di scarico di recipienti, serbatoi, vasche e canalizzazioni di un troppo pieno per impedire il rigurgito o il traboccamento. Tenendo conto dei principi di tutela ambientale sulla base dei quali è stato emanato il decreto devono essere adottate delle misure che prevengano l’inquinamento del suolo o delle acque in caso di troppo pieno. La soluzione migliore è un dispositivo di blocco automatico che intervenga nel corso delle operazioni di riempimento del serbatoio al superamento di un franco di sicurezza stabilito dall’impianto. La descrizione del dispositivo e lo schema di funzionamento devono essere allegati alla domanda di installazione del serbatoio.

12. Quali sono i controlli periodici di funzionalità descritti all’art.8, comma 2, del decreto e dove si può reperire un modello ufficiale di registro?

Per il registro si può utilizzare il modello emanato da ANPA. Tuttavia non essendo previsto un modello ufficiale possono andare bene anche altri registri a condizione che siano trascritte tutte le voci relative ai controlli indicati all’art.8. Per la funzionalità del serbatoio e dei dispositivi di contenimento e rilevazione si dovranno seguire i relativi metodi di prova indicati dal costruttore o quelli previsti da norme di buona tecnica.

13. Cosa si intende per "dismissione"?

Si ha "dismissione", ai sensi e per gli effetti dell’articolo 9 del D.M. 246/99, quando il serbatoio viene definitivamente escluso dal ciclo produttivo, venendo così meno la sua funzione originaria. Va, quindi, tenuta distinta la messa fuori uso temporanea, che presuppone, invece, la rimessa in esercizio del serbatoio con la precedente funzione. Permane, in ogni caso, l’obbligo di bonifica e messa in sicurezza – temporanea o definitiva (vedi punto successivo) - al fine di eliminare il rischio di sversamento di prodotti nel suolo o dell’instaurarsi di condizioni di infiammabilità del liquido o dei vapori all’interno del serbatoio.

14. Cosa si intende per "messa in sicurezza"?

L’articolo 9 del decreto prescrive che il serbatoio dismesso, oltre ad essere svuotato e bonificato, vada "messo in sicurezza" fino alla rimozione e smaltimento.

Innanzitutto, la messa in sicurezza deve garantire non solo dal rischio di contaminazione del terreno, ma anche dal rischio di scoppio/incendio (che potrebbe essere determinato da vapori di residui in concentrazioni di infiammabili) e da quello di sfondamento (dovuto alla presenza di volumi vuoti).

Si possono, in questo senso, distinguere due specifiche tipologie di intervento: una messa in sicurezza "temporanea" contraddistinta dall’adozione di misure quali, ad esempio, il riempimento con acqua che, oltre ad assicurare le condizioni specificate in precedenza, possano facilmente essere rimosse al fine di ripristinare il serbatoio alla sua funzione originale.

La messa in sicurezza "definitiva" è, al contrario, caratterizzata dall’effettuazione di opere che garantiscano in via permanente sicurezza ambientale e, soprattutto, staticità del sito: in particolare possono essere il riempimento con materiali inerte (litoide o meno) o con schiume poliuretaniche autoportanti.

Tuttavia la messa in sicurezza permanente deve essere giustificata dalla mancanza di alternative tecnicamente realizzabili ed economicamente sopportabili, come prevede il DM 471/99 sulla bonifica di siti contaminati. Si ritiene che, salvo situazioni particolari, la rimozione di serbatoi interrati sia quindi preferenziale e prioritaria.

15. Qual è il rapporto esistente tra "dismissione" e "rimozione" del serbatoio?

In caso di dismissione del serbatoio, il detentore è tenuto a procedere allo svuotamento e bonifica del medesimo, nonché alla messa in sicurezza "fino alla rimozione e smaltimento, secondo la normativa vigente" (articolo 9, comma1).

Il tenore della disposizione in esame nonché la finalità di tutela ambientale perseguita dal decreto evidenziano che il legislatore intende la rimozione come la naturale conseguenza della messa fuori uso del serbatoio. L’uso della terminologia non fa tuttavia pensare a un vero e proprio obbligo, a meno che non cessi l’attività alla quale è servito, in questo caso si configurerebbe un abbandono di rifiuti, che è appunto vietata. Oppure la rimozione potrebbe essere oggetto di specifica prescrizione ad opera del Comune, nei casi in cui l’area su cui insiste il serbatoio debba essere restituita alla sua originale destinazione urbanistica: tipico l’esempio dei distributori di carburanti, per i quali l’autorizzazione edilizia allo smantellamento contempla, di norma, il ripristino dello stato dei luoghi, con rimozione di tutte le attrezzature costituenti l’impianto sopra e sotto il suolo.

Quindi decidere che il serbatoio venga riutilizzato nel ciclo produttivo, sia pur con altra funzione, quale stoccaggio di acqua ad uso antincendio o raccolta delle acque di dilavamento, può solo spostare in avanti il momento della rimozione. Tuttavia, sempre tenendo conto della finalità della norma, non si avrebbe conoscenza per molto tempo delle conseguenze derivanti dal posizionamento del serbatoio in quel sito, dalla data di installazione. Volendo quindi mantenere il serbatoio per altri usi non si potrà prescindere dal fornire all’ARPA un’adeguata caratterizzazione del sito, mirata a rilevare l’eventuale presenza nel suolo circostante il serbatoio delle sostanze che erano nel medesimo contenute.

16. Le prove di tenuta dimostrano che il contenitore non è lesionato. Si possono escludere quindi contaminazioni?

Tali verifiche per le modalità e la periodicità di esecuzione, non consentono di escludere in via assoluta episodi di contaminazione del suolo, anteriori o in atto all’epoca della dismissione. Pertanto, si ritiene opportuno che alla notifica della dismissione venga allegata apposita relazione tecnica, la quale, oltre a descrivere le modalità della messa in sicurezza (vale a dire, l’elenco delle operazioni eseguite), contenga anche un’idonea caratterizzazione del sito. Quest’ultima, in particolare, dovrà essere condotta in modo da evidenziare il rispetto dei limiti di cui al D.M. 471/99, relativamente alle sostanze stoccate nel serbatoio.

17.Quali sono le metodologie per effettuare le prove di tenuta in assenza di indicazioni ministeriali?

Nel DM 246/99 è indicata la massima perdita che i sistemi di controllo della tenuta devono essere in grado di rilevare con la probabilità del 95%, pari a 400 ml/h, corrispondente a 9,6 lt/die. Le metodologie proposte per tali prove devono essere garantite per il grado indicato. A questo proposito si fa presente che è stato pubblicato il manuale Unichim n.195 che ha titolo "Prove di tenuta su serbatoi interrati, parte I". Il Gruppo di Lavoro che ha prodotto il manuale si è preoccupato di effettuare una ricognizione critica dei sistemi già in uso. Per ognuno dei 10 metodi esaminati è stato formulato un giudizio conclusivo. La scelta del metodo più adatto in ogni specifica situazione deve essere fatta caso per caso e dipende da numerose considerazioni: limite di rilevabilità, tempo di esecuzione, controllo delle tubazioni, presenza di falde idriche, tipo di suolo a contatto con il serbatoio.

Nel corso del 2001 sono previste verifiche in campo dell'efficacia delle singole metodiche.

18.Qual è il rapporto tra verifica dell’integrità strutturale e prova di tenuta?

La differenza sostanziale risiede nel fatto che la verifica di integrità strutturale mira a valutare, oltre che l’assenza di perdite, anche le condizioni strutturali del serbatoio in modo tale da poter escludere che vi siano possibili perdite e che il peso insistente sull’apparecchiatura possa causare variazioni volumetriche pericolose per la tenuta della stessa o, addirittura, collasso della struttura.Tali verifiche devono quindi comprendere in particolare la misura dello spessore delle pareti del serbatoio e dello stato di conservazione del rivestimento interno.Vi è inoltre una tempistica diversa: la verifica di integrità deve essere eseguita contestualmente al risanamento per poter assicurare un prolungamento della vita economica del serbatoio, mentre le prove di tenuta hanno carattere periodico ed una frequenza stabilita dal decreto in base all’anno di installazione del serbatoio ed alle sue caratteristiche tecniche.

19.Quali requisiti deve possedere il "tecnico qualificato" incaricato delle prove di tenuta?

In mancanza di disposizioni su eventuali specifici requisiti che caratterizzano la figura del "tecnico qualificato" di cui tratta il D.M. 246/99, si ritiene che le prove di tenuta possano essere affidate a tecnico con esperienza documentalmente dimostrata (anche mediante autocertificazione) nell’utilizzo dei metodi unificati (Norme UNI) nonché delle caratteristiche di pericolosità delle sostanze trattate.

20. Quali sono i criteri di sicurezza ambientale da adottare?

Le norme tecniche di riferimento da applicare ai serbatoi sono indicate nell’articolo 12, comma 1 del decreto, il quale recita:" Le norma tecniche da applicare alla progettazione, costruzione, installazione, conduzione e manutenzione, nonché controlli ed interventi, dei serbatoi interrati devono essere quelle emanate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera b) del presente decreto, o in mancanza quelle praticabili di riconosciuta validità a livello europeo o internazionale".

Si ritiene, pertanto, che, in attesa di uno specifico intervento del Ministero dell’Ambiente sull’argomento, valgano i criteri di sicurezza ambientale elaborati nella normativa tecnica internazionale di settore.

Smaltimento amianto eternit

Smaltimento amianto

L’amianto è stato un materiale largamente usato nell’edilizia e, purtroppo, non si è ancora arrivati a una rimozione completa da tutti gli edifici. Se possiedi un immobile di vecchia costruzione è quindi consigliabile controllare l’eventuale presenza di amianto. Per fare ciò bisogna rivolgersi a degli esperti. Continua a leggere per avere maggiori informazioni.




Costi di smaltimento amianto

Iniziamo parlando di costi: bisogna tenere in considerazione che questi variano a seconda dell’intervento che si va a fare. Per darti un’idea, nella seguente tabella trovi delle indicazioni sui prezzi per lo smaltimento delle coperture in amianto, le lastre di forma ondulata composte da cemento e amianto.

Superficie in amianto da smaltirePrezzo al mᒾ
50 mᒾ
20 - 25 €
100 mᒾ14 - 20 €
200 mᒾ11 - 16 €
500 mᒾ8 - 12 €

Questi prezzi includono le spese di rimozione, smaltimento in discarica e trasporto dell’amianto. Bisogna anche ricordare che è possibile ottenere detrazioni fiscali del 50% per questo tipo di manutenzione. Per avere stime più dettagliate dei costi, compila la scheda e ottieni fino a 5 preventivi in poche ore. Potrai scegliere quello piu conveniente e iniziare subito la rimozione dell’amianto dalla tua casa!

Cos’è l’amianto e perché è pericoloso

L’amianto è un materiale di origine naturale con struttura fibrosa. La sua elevata resistenza lo ha reso un ottimo additivo per il cemento o per vernici. Per questo venne largamente impiegato in edilizia per realizzare grondaie, tubi, feltri per sottofinestre, ma anche tramezzi e piastrelle. Inoltre, le sue proprietà isolanti lo resero popolare come materiale per rivestire tetti e pareti.
L’amianto è presente in materiali friabili che, se danneggiati o polverizzati, rappresentano un pericolo per l’uomo. Infatti, essendo composto da fibre minuscole (come mostra l’immagine), può essere facilmente inalato e quindi provocare malattie dell’apparato respiratorio.


Un pò di storia sul cemento-amianto

Il cemento-amianto, comunemente noto come Eternit, fu prodotto a partire dai primi anni del ‘900 e largamente utilizzato per coperture di edifici e capannoni, ma anche oggetti di uso quotidiano. Ben presto però, intorno gli anni ‘60, si iniziò a capire che la polvere di amianto costituiva un danno per l’uomo in quanto poteva causare cancro o malattie respiratorie. Nonostante questo, la sua produzione continuò fino agli anni ‘80 e, solo nel 1992, questo materiale venne vietato in Italia e in Europa. Ancora oggi, però, ci sono diversi edifici con superfici in amianto. Fortunatamente, puoi trovare una ditta di smaltimento amianto, da Palermo a Milano, pronta ad aiutarti con il tuo progetto e mettere in sicurezza la tua casa.

Come si smaltisce l’amianto

La procedura di rimozione e smaltimento dell’amianto deve essere svolta unicamente da ditte specializzate. È loro compito infatti:

  • verificare la presenza di amianto tramite un sopralluogo;
  • preparare e inviare la documentazione per le autorizzazioni necessarie all’Asl, almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori;
  • incapsulare il materiale coprendolo con prodotti penetranti o ricoprenti;
  • bonificare le superfici circostanti, sulle quali il prodotto in amianto poggiava;
  • rimuovere il prodotto;
  • smaltire definitivamente il prodotto in discarica.

Questi passaggi devono essere eseguiti nel massimo rispetto della sicurezza, dal momento che il materiale, se danneggiato o spostato, può rilasciare polveri.

Sostitutivi dell’amianto

Per sostituire l’amianto, che, nonostante la pericolosità per l’uomo, costituiva un prodotto molto resistente e ideale per l’edilizia, si è iniziato a produrre il fibrocemento ecologico. Creato nel 1994, subito dopo il divieto di produzione dell’Eternit, questo materiale andò a sostituire l’amianto con le fibre organiche, sintetiche e naturali. Il fibrocemento ecologico si presta a moltissimi impieghi nell’edilizia, come nella costruzione di coperture, ma anche serbatoi per l’acqua ed altro. Anche se questo nuovo materiale non ha una longevità pari all’amianto, riesce comunque a resistere senza problemi per 10 – 15 anni.

Sono obbligato a rimuovere e smaltire l’amianto dalla mia abitazione?

La legge non ti obbliga a rimuovere l’amianto, ma ricorda che questo materiale può causare un rischio per la tua salute e quella della tua famiglia, soprattutto se è danneggiato. Secondo la normativa, i proprietari di immobili contenenti amianto devono occuparsi della sua manutenzione. Se il materiale è friabile, il proprietario è obbligato a comunicare la sua presenza all’Asl di riferimento e procedere al suo smaltimento. In caso di quantitativi minori a 900 kg, può essere smantellato in autonomia, ma poiché questa è una pratica rischiosa per la tua salute è sempre meglio affidarsi a degli specialisti. Qualora, invece, l’amianto presente nella tua casa sia compatto, non vi è nessun obbligo di comunicazione. Dovrai però effettuare un’ispezione e una valutazione del rischio e nel caso in cui l’immobile sia danneggiato sarai obbligato ad affidarti ad una ditta specializzata.


Alcuni consigli per te

Sei pronto a fare il prossimo passo verso una casa più sicura? Ecco alcuni consigli da seguire:

  • chiedi una valutazione della tua abitazione: spesso gli oggetti o le superfici in amianto non sono immediatamente riconoscibili;
  • evita il ‘fai da te’: anche se hai a che fare con piccole quantità, la rimozione e lo smaltimento dell’amianto può essere un’operazione rischiosa;
  • contatta degli specialisti: loro sapranno consigliarti e svolgeranno il lavoro in piena sicurezza e nel rispetto della legge.

È ora di rendere la tua casa più sicura!

L’Unione Europea ha approvato una risoluzione che prevede un’Europa senza amianto entro il 2028. Contribuisci anache tu a raggiungere questo scopo. Non devi fare altro che affidarti a degli specialisti per una valutazione del rischio. Contatta delle imprese esperte nel trattamento dell’amianto, confronta fino a 5 preventivi e scegli quella che fa per te. In questo modo potrai risparmiare fino al 40% sul lavoro di smaltimento dell’amianto nella tua casa.




Smaltimento amianto

Smaltimento amianto




Se hai una casa degli anni 60, 70 o 80 è probabile che devi effettuare un intervento di smaltimento amianto. L’amianto è stato messo al bando in Italia dal 1992 ma solo il 2% degli edifici sono stati bonificati. La normativa prevede diverse tecniche e procedure di bonifica amianto, quella più importante è la rimozione e smaltimento amianto che deve essere fatta esclusivamente da ditte di smaltimento amianto e eternit autorizzate. In questo articolo approfondiamo il tema dello smaltimento per mettere in sicurezza casa.

L’amianto è presente in natura sotto forma di minerale fibroso a struttura microcristallina. La caratteristica dell’amianto è di avere delle fibre resistenti al fuoco, alla trazione e agli acidi. Prima della scoperta della sua pericolosità per la salute è stato largamente utilizzato in edilizia fino a metà anni 80. Nelle nostre case lo possiamo trovare nei tetti in eternit, nelle canne fumarie, nei serbatoi per l’acqua, nelle fioriere di un terrazzo, come isolamento di tubazioni e tanti altri manufatti (si stimano oltre 3.000 prodotti).

Prima di vedere in dettaglio la procedura di smaltimento amianto, cosa dice la normativa, quali sono gli obblighi, ed il tema degli incentivi fiscali, come prima cosa parliamo dei costi per lo smaltimento amianto.




Costo smaltimento amianto

La procedura di smaltimento amianto è regolamentata dalla normativa sulla bonifica amianto. E’ un intervento non molto economico ma permette di mettere in sicurezza la vostra salute. Il costo confrontato con il rischio di avere una copertura o una canna fumaria in eternit danneggiata sulla testa è nullo.

Come abbiamo visto nell’articolo quanto costa smaltire l’amianto, il prezzo parte dai 20€ al mq in base alle dimensioni da rimuovere. Il costo per la rimozione e smaltimento dipende da diversi fattori:

  • Difficoltà di accesso alla zona da bonificare e stato iniziale dei manufatti.
  • Solo ditte autorizzate possono effettuare la rimozione amianto.
  • Il personale delle aziende di smaltimento devono avere un patentino.
  • La procedura di rimozione è complessa e impone delle tempistiche precise.
  • Lo smaltimento può avvenire solo in discariche autorizzate.

Tutte queste voci di costi rendono l’intervento di rimozione e smaltimento costoso. Ad esempio il costo per la discarica si valuta in kg che oscilla dai dai 0,2€ ai 0,3€ al kg. Considerando che una lastra di eternit pesa circa 15Kg per metro quadro, facendo due calcoli rapidi per il solo smaltimento costa 15€.

Di seguito alcuni esempi di costo per smaltimento amianto al mq.

Metri Quadrati (area con amianto / eternit)Costo al MQ (rimozione e smaltimento)
100 mqda 20€ al mq
500 mqda 15€ al mq
1.000 mqda 10€ al mq

Per avere il prezzo finale preciso chiedi un preventivo gratuito per la verifica, rimozione e smaltimento amianto ed entra in contattato con diverse ditte esperte e certificate che potranno aiutarti nel risolvere il rischio amianto in casa o del condominio.


Normativa smaltimento amianto

La normativa di riferimento per lo smaltimento amianto è la Legge 257 del 1992 con la quale l’Italia ha messo a bando l’amianto. Questa normativa vieta la commercializzazione e importazione dell’amianto, la sua estrazione, la produzione di manufatti o prodotti contenenti amianto come ad esempio eternit. La legge prevedeva un programma di dismissione amianto da completare entro Aprile 1994.

Nel 1994 è stato emanato il DM del 6 settembre 1994 che contiene i principi e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, procedure controllo, manutenzione e bonifica amianto, la sicurezza per gli interventi di rimozione amianto, le metodologie per le indagini di laboratorio per capire la presenza di amianto. Questo decreto vede l’attuazione per le strutture edilizie ad uso civile, commerciale, industriale, … ed in genere quelle aperte al pubblico. In questo decreto tra le tecniche di bonifica quella principale è la rimozione e smaltimento amianto.

La normativa classifica i materiali contenenti amianto friabile e compatto. Quelli friabili sono quelli che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione manuale. Questi materiali sono quelli più pericolosi e le attività si rimozione e smaltimento amianto devono seguire delle procedure di sicurezza precise.


Smaltimento Lana di Roccia, quali sono i pericoli?

Smaltimento Lana di Roccia, quali sono i pericoli?








La lana di roccia è un materiale molto utilizzato nell’edilizia a causa delle sue molteplici proprietà.
Si tratta di un materiale che appartiene al gruppo delle Fibre Artificiali Vetrose, che a loro volta comprendono altri elementi diversi tra loro a seconda delle caratteristiche. La lana di roccia nello specifico è piuttosto fibrosa e presenta una trama fine, è composto da alluminati e silicati. Questi componenti sono perfetti per il settore edile perché vantano numerose proprietà, tra cui l’isolamento acustico e quello termico.

Senza contare poi il notevole risparmio che può portare l’utilizzo di questo materiale, che ad oggi è uno dei più economici sul mercato. Purtroppo esistono anche dei lati negativi, come per esempio la presenza di prodotti chimici all’interno delle fibre.

Come è fatta la lana di roccia?

La lana di roccia è una lana minerale ampiamente utilizzata nel settore dell’edilizia e dei trasporti. La maggior parte delle lane minerali contengono elevati livelli di ossidi alcalini e alcalino-terrosi, e in più delle combinazioni chimiche che servono per conferire loro ogni singola caratteristica.

Nello specifico la lana di roccia è un materiale naturale e di origine vulcanica, caratteristica che la rende non solo altamente isolante a livello termico e acustico, ma anche incombustibile. Viene realizzata grazie a un processo di ri-solidificazione della lava fusa e la sua temperatura di fusione supera i 1000 °C.

Si tratta di un materiale chimicamente neutro e non contiene prodotti corrosivi né aggressivi. La lana di roccia non è cancerogena per l’essere umano ma si può definire irritante per l’epidermide, per gli occhi e per le vie respiratorie. Per questo motivo viene maneggiata seguendo specifiche procedure.

I pericoli derivati dalla lana di roccia

Quali sono dunque i pericoli reali della bonifica della lana di roccia?

La IARC (International Agency for Research of Cancer) ha risposto a questa domanda, dichiarando che solo i materiali più biopersistenti sono classificati come “possibilmente cancerogeni per l’uomo”.

Moltissimi studi medici hanno evidenziato come le fibre artificiali vetrose potessero causare gravissimi problemi di salute, pertanto sono state emanate diverse discipline normative volte a garantire la sicurezza di chi lavora con tali materiali e di chi occupa dei locali realizzati con gli stessi. Gli studi evidenziano che i rischi per la salute deriverebbero dalle dimensioni delle fibre, dal loro grado di solubilità nei liquidi e dal contenuto di sostanze chimiche dette ossidi alcalino terrosi.

Tale distinzione è fondamentale soprattutto per chi utilizza un materiale fibroso per opere edilizie (per esempio il cappotto o l’isolamento di tubazioni) per capire se possa causare danni in futuro alla salute degli occupanti dell’edificio. Quando nell’ambito di un cantiere si utilizzano materiali nella cui scheda tecnica non è presente la nota R e/o la nota Q, allora ci si trova di fronte a materiali potenzialmente pericolosi sia per l’installatore del materiale sia per il futuro occupante dell’edificio.

Tutte le volte, invece, in cui nell’ambito di una ristrutturazione o manutenzione di un edificio si ha a che fare con materiali fibrosi è importante ricordare che si tratta di materiali pericolosi almeno quasi quanto l’amianto. Il Testo Unico della Sicurezza – D.Lgs. 81/2008 – ha dedicato gran parte del Titolo IX ai materiali contenenti amianto, mentre non sono state indicate misure precauzionali per la lavorazione e rimozione di altri materiali fibrosi, ma ciò non significa che si possa lavorare per la loro rimozione, o comunque in presenza di questi ultimi, senza le dovute precauzioni.

Lo smaltimento della lana di roccia

Prima di procedere allo smaltimento della lana di roccia è opportuno effettuare un’analisi chimica per sapere a quale categoria di rifiuti appartiene. Solo in questo modo si potrà procedere con una corretta attività di smaltimento.
Nonostante lo smaltimento della lana di roccia rientri nello smaltimento dei rifiuti speciali, il materiale di per sé non si può classificare come cancerogeno.

Per una corretta rimozione della lana di roccia occorre indossare sempre tuta, guanti e mascherina ben aderente al viso. Se necessario, avvisare tempestivamente i vicini che dovranno tenere chiuse le finestre durante la rimozione. È bene anche controllare che il materiale rimosso non sia fuoriuscito dalla zona di lavoro e apporre un nastro che indichi il nominativo della persona presso cui viene eseguito il ritiro.

Possiamo concludere affermando che lo smaltimento della lana di roccia non è pericoloso, ma bisogna avere delle accortezze durante la rimozione, per evitare rischi per la salute. L’importante è rivolgersi sempre ad una ditta specializzata nello smaltimento lana di roccia ed evitare di ricorrere a tecniche fai da te, che nella maggior parte dei casi non portano mai ad una corretta rimozione.  





Lana di roccia o di vetro: livello di pericolo, rimozione e smaltimento

Lana di roccia o di vetro: livello di pericolo, rimozione e smaltimento

Le fibre artificiali vetrose sono la lana di vetro, lana di roccia e altri materiali simili: sono pericolosi per la salute?




 

Intuita la gravità del problema amianto, nonostante all’epoca fossa ancora utilizzabile, sul finire degli anni ’80 si è provato a sostituirlo con materiali altrettanto performanti, ma senza tutte quelle stesse caratteristiche negative: sono state così messe in commercio le fibre minerali vetrose e le fibre ceramiche refrattarie, più comunemente conosciute come lana di vetro, lana di roccia e altri materiali simili. Ora, non si vuole sparare a zero su tali materiali, ma unicamente fare chiarezza su quali siano i materiali davvero pericolosi per la salute e quali, invece, no.

Fibre artificiali vetrose: perchè sono pericolose

Moltissimi studi medici hanno evidenziato come anche questa tipologia di materiale potesse causare gravissimi problemi di salute, pertanto sono state emanate diverse discipline normative volte a garantire la sicurezza di chi lavora con tali materiali e di chi occupa dei locali realizzati con gli stessi. Gli studi evidenziano che i rischi per la salute deriverebbero:
– dalle dimensioni delle fibre (il diametro della fibra deve essere maggiore di 6 micrometri),
– dal loro grado di solubilità nei liquidi (importante in tal senso è la lunghezza della fibra superiore a 20 micrometri),
– dal contenuto di sostanze chimiche dette ossidi alcalino terrosi (devono essere contenuti in quantità inferiori al 18%).

Tale distinzione è fondamentale soprattutto per chi utilizza un materiale fibroso per opere edilizie (per esempio il cappotto o l’isolamento di tubazioni) per capire se possa causare danni in futuro alla salute degli occupanti dell’edificio e la conseguenza diretta è la classificazione del materiale medesimo tramite la nota R e la nota Q che sono riportate nella scheda tecnica del materiale. Quando nell’ambito di un cantiere si utilizzano materiali nella cui scheda tecnica non è presente la nota R e/o la nota Q, allora ci si trova di fronte a materiali potenzialmente pericolosi sia per l’installatore del materiale sia per il futuro occupante dell’edificio.

Tutte le volte, invece, in cui nell’ambito di una ristrutturazione o manutenzione di un edificio si ha a che fare con materiali fibrosi è importante ricordare che si tratta di materiali pericolosi almeno quasi quanto l’amianto. Il Testo Unico della Sicurezza – D.Lgs. 81/2008 – ha dedicato gran parte del Titolo IX ai materiali contenenti amianto, mentre non sono state indicate misure precauzionali per la lavorazione e rimozione di altri materiali fibrosi, ma ciò non significa che si possa lavorare per la loro rimozione, o comunque in presenza di questi ultimi, senza le dovute precauzioni.

Leggi anche Amianto: in quali materiali e in quali parti degli edifici è contenuto?

Le operazioni di rimozione

Se, durante lavori cantieristici, ci si accorge della presenza di materiali fibrosi è opportuno valutare la possibilità di una eventuale rimozione; se questa fosse possibile, non sarà necessario incaricare una ditta abilitata con iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali in Categoria 10, ma basta che la l’impresa valuti i rischi chimici presenti durante l’attività lavorativa, formi ed informi i lavoratori interessati dotandoli degli adeguati dispositivi di protezione individuale e tratti il materiale in modo tale da renderlo più innocuo possibile per la salute dei lavoratori, prestando attenzione a non inquinare completamente tutto il cantiere tramite manovre avventate.

Smaltimento dei rifiuti

Avvenuta la rimozione, i rifiuti (costituiti dal materiale rimosso, ma anche da tutti i materiali utilizzati per confinare l’area) devono essere trattati come rifiuti pericolosi e, di conseguenza, opportunamente “verniciati” ed imballati e trasportati da ditta iscritta alla Categoria 5 dell’Albo dei Gestori Ambientali e trasportata in discarica autorizzata.
Se, al contrario, la rimozione non fosse possibile, è importante stabilizzare il materiale fibroso tramite le apposite vernici ed agire con un incapsulamento o confinamento, in base alle possibilità tecniche offerte dal luogo di lavoro.

Leggi anche Isolamento acustico delle strutture X-LAM, cosa prevede una soluzione costruttiva corretta



Recupero dell’acqua piovana: come funziona e perché è importante

Recupero dell’acqua piovana: come funziona e perché è importante

 

La pioggia è una risorsa

Indice dei Contenuti



Il quadro sui consumi di acqua fornito dall’ISTAT in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2017, rivela che negli ultimi anni è aumentata la tendenza ad ottimizzare la risorsa acqua, grazie ad una diffusa, ma non ancora sufficiente, coscienza ecologica nell’evitare gli sprechi.
Nei comuni capoluogo di provincia si utilizzano circa 245 litri pro capite di acqua potabile al giorno. Non sono pochi. Tra l’altro, va considerato che circa la metà dell’acqua potabile che si usa in casa non è utilizzata per scopi potabili o per cucinare, ma per fare pulizie, ricaricare sciacquoni, irrigare orti e giardini, lavare automobili, ecc. Per tutte queste necessità si può utilizzare un’altra fonte di acqua, gratuita e preziosa: la pioggia.
Vediamo come è fatto un sistema per la raccolta e l’utilizzo delle acque meteoriche, quanto costa e come fare per risparmiare acqua e soldi.

Il sistema di recupero delle acque piovane

Esistono essenzialmente 2 tipologie di impianto: per uso irriguo o per uso domestico. Spesso anche integrati. In generale, comunque, un impianto per raccolta ed utilizzo di acqua piovana è formato essenzialmente da:

  • Filtro – necessario a trattenere i residui solidi dalle acque raccolte. A seconda dei sistemi, se ne dispongono diversi in vari punti e per gradi di filtraggio.
  • Serbatoio – generalmente interrato o, comunque, in una posizione ribassata rispetto alla superficie di raccolta. Laddove non fosse possibile scavare a fondo, si possono installare serbatoi schiacciati o più serbatoi collegati in parallelo. La capienza va dai 1000 ai 10.000 litri, in base alle esigenze.
  • Impianto di aspirazione – formato dal filtro di aspirazione e dalla pompa che muove l’acqua all’interno della rete di distribuzione.
  • Sistema di distribuzione – è costituito dalle tubazioni che portano l’acqua alle utenze. È fondamentale che i tubi utilizzati siano marcati in modo evidente per evitare contaminazioni, dato l’utilizzo di acqua non potabile e non purificata microbiologicamente.
  • Centralina elettronica – è necessaria per gestire i sensori di livello, la pompa, le valvole e tutti i componenti elettrici che fanno funzionare l’impianto.


Il dimensionamento dell’impianto di recupero delle acque piovane è un passaggio fondamentale che deve esser fatto da professionisti esperti del settore. Per una corretta valutazione si dovranno prendere in considerazione diversi parametri, come la piovosità dell’area, la superficie di raccolta, il materiale da cui è composta la superficie ed il fabbisogno idrico dell’abitazione.

È importante, comunque, che sia presente il doppio impianto, ovvero, quello di raccolta e quello della rete idrica tradizionale, sia per avere acqua nei periodi di siccità, sia per avere sempre a disposizione acqua potabile.
Come detto, infatti, per evitare contaminazione a causa di acqua non trattata, i tubi devono essere chiaramente marcati e sui rubinetti che la erogano deve essere presente un’evidente segnaletica di non potabilità dell’acqua.
In alcuni casi, è anche possibile potabilizzare l’acqua raccolta, ma sarebbe necessario l’uso di diversi filtri (carbone, roccia) e composti chimici come iodio e cloro ed il sistema, in questo caso, sarebbe sconveniente economicamente e non garantirebbe comunque la potabilità costante, al contrario dell’acquedotto, che viene controllato costantemente.

I costi dell’impianto di recupero

A seconda del tipo di impianto il costo di un sistema completo varia moltissimo. Influiscono le distanze da coprire, lo scavo da fare, il tipo e la grandezza del serbatoio e la complessità della centralina. Oltre, naturalmente, alla manodopera per la realizzazione fisica.
È quindi sempre opportuno farsi fare più di un preventivo alle medesime condizioni per valutare con maggiori informazioni e più cognizione.
Diciamo, comunque, che un impianto di raccolta delle acque può far risparmiare anche più del 50% di consumi di acqua e ha una durata molto lunga, permettendo di ripagare l’investimento in circa 10-15 anni.
Possiamo dire che un piccolo impianto, da circa 2000 litri può avere un costo indicativo di circa 1000 – 1500€, mentre impianti più grandi possono arrivare a costare fino a 6000€.

L’acqua è un bene prezioso

La legge 244/2007, all’articolo 1, comma 288 chiede che, oltre alla certificazione energetica, per ottenere il permesso di costruire siano necessarie anche delle caratteristiche dell’edificio “finalizzate al risparmio idrico e al reimpiego delle acque meteoriche”. Questo è un segnale importante del fatto che anche le istituzioni si rendano conto che l’acqua è un bene prezioso.
È, comunque, importante per tutti imparare a gestire l’acqua domestica in modo consapevole ed ecologicamente compatibile, ad esempio non aprendo completamente i rubinetti (esistono rubinetti a scatti), preferendo una doccia breve alla vasca da bagno, utilizzando cassette wc a doppio tasto, razionalizzando i tempi di irrigazione ed usando elettrodomestici a basso consumo di energia ed acqua.
Su Immobilgreen.it siamo specializzati in immobili ecosostenibili e dal nostro motore di ricerca, primo in Italia riguardo a questo, è possibile cercare e filtrare i risultati in base alle caratteristiche green, tra cui la presenza di un impianto di recupero ed utilizzo delle acque piovane.


Cisterna Acqua, cos'è, come funziona, quanto costa e a cosa serve.

Cisterna Acqua - Prezzi, Forme, Materiali

 Autore: Emanuele Celentano



Cisterna Acqua, cos'è, come funziona, quanto costa e a cosa serve.

A cosa servono le cisterne d'acqua?

I motivi per i quali si debba stipare o conservare dell'acqua in serbatoi e cisterne possono essere molteplici, per esempio:

  • Siccità,
  • Mancanza di corsi d'acqua vicini,
  • Lontananza dalle falde acquifere,
  • Reti idriche urbane lontane o non efficienti,
  • Recuperare l'acqua piovana
  • Immagazzinare acqua per utilizzarla in un secondo momento
  • Avere una risorsa idrica per l'agricoltura sempre a disposizione,
  • Avere uno stoccaggio d'acqua in barca.

L'accumulo di acque pulite o grige è una pratica nata dalla necessità di riutilizzo dell'acqua stessa a motivi igienico sanitari per le acque luride.


Quale è il materiale adatto ai nostri serbatoi in polietilene, acciaio inox o o zincati?


Se l'uso che dovete fare della vostra cisterna acqua è per lo stoccaggio dell'acqua piovana, allora, il serbatoio che vi occorre deve essere di un materiale che sia al contempo resistente ai raggi solari o agli agenti atmosferici diretti. I materiali più indicati per poi sono il polietilene o l'acciaio.

In tal senso, la discriminante maggiore è data sopratutto dal prezzo del serbatoio quindi si opta o meno per una soluzione in base alle proprie disponibilità.

Essendo coscienti che sia l'acciaio che il polietilene sono resistenti agli agenti atmosferici e al sole sorge però un altro problema:

Cosa devo fare per evitare che la cisterna d'acqua si ghiacci d'inverno?

Partiamo dal presupposto che affinché avvenga tale processo sono necessari giorni di freddo intenso affinché un volume così elevato d'acqua si ghiacci, comunque, onde evitare l'insorgere di problemi basterà riempire il serbatoio non al massimo, infatti, facendo così, eviteremo che l'acqua ghiacciata, che nel passaggio da liquido a solido dilata il proprio volume, spacchi il nostro serbatoio.

Altri problematica in cui potremmo incorrere è il congelamento dell'elettropompa collegata al nostro serbatoio.

Cosa posso evitare per evitare che l'elettropompa si ghiacci e si rompa a causa del freddo?

Il congelamento dell'elettropompa collegata alla cisterna d'acqua è un problema molto frequente con l'arrivo dei mesi più freddi. Colpiti da questo problema sono sopratutto i tubi di collegamento tra le due parti che essendo esposto agli agenti atmosferici ne risentono per primi. Buona prassi sarebbe quella di svuotare completamente la cisterna d'acqua e far pescare dell'aria all'elettropompa che eliminando i fluidi passibili di congelamento evita di danneggiarsi.

Dove posso posizionare il mio serbatoio?

Di solito le cisterne d’acqua vengono installate all'aperto, soprattutto se devono raccogliere l'acqua piovana.

Se volessi una cisterna d’acqua per acqua potabile?

Nel caso fossimo intenzionati però a comprare delle cisterne per la raccolta d'acqua potabile, potremmo collocarle anche in uno spazio chiuso tra le mura interne della nostra abitazione. Considerazione da fare, però, è che il volume d’ingombro dei serbatoi è molto grande. Avremmo, quindi, bisogno del giusto spazio per posizionare questi serbatoi per conservare acqua senza che possano essere d'intralcio o che non compiano a dovere il loro compito.

A seconda dell'area a disposizione potrete ritenere più opportuno

È buona prassi misurare attentamente i metri di spazio a disposizione e così riuscire a capire quale sia il luogo adatto al deposito del serbatoio.


Consolidamento Fondazioni

con Micropali



Fabbricati che presentano lesioni, crepe orizzontali e verticali dovuti a cedimenti strutturali è possibile intervenire con micropali con cordolo di fondazione in calcestruzzo ancorato sulla testa dei pali. Con questo intervento oltre a ripristinare lesioni già presenti si vanno anche a prevenire futuri movimenti strutturali dell’immobile.


Il sistema di consolidamento con micropali viene adottato oltre che per ripristinare o prevenire la nuova comparsa di cedimenti strutturali, anche per la creazione e/o sistemazione di marciapiedi , muri di confine, ecc .

MICROPALI: TECNICA A BASSO COSTO

MICROPALI: TECNICA A BASSO COSTO



L’impiego dei micropali nel consolidamento delle terre e rocce è una tecnica applicata con successo da diversi anni e malgrado la comune opinione che la sua applicazione abbia dei costi  elevati se non insostenibili per il committente, lo specchietto sopra descritto evidenzia al contrario che nella giusta gradualità diventa economicamente vantaggioso fermo restando la positività per  la corretta pianificazione degli interventi, l’assenza di imprevisti anche grazie alla preventiva cognizione di quanto si andrà affrontando, la corretta operatività nel rispetto delle norme antinfortunistiche nei già accennati DLgs 626/94 e 494/96 con particolare riferimento alla sicurezza degli operai che lavorano sotto il fronte scavo e buon ultimo ma non di importanza la tranquillità da parte dei Progettisti e Direttori dai lavori di veder affrontare in maniera  sistematica, competente, progressiva quel settore dell’Ars aedificandi che da sempre ha rivestito il ruolo di tormentone per l’ alto carico di rischio e conseguente responsabilità che esso comporta.

Con il termine di paratia Berlinese si intende appunto una paratia, ovvero un fronte di micropali che costituiscono una Berlinese, su cuiu sono stati successivamente installati uno o più tiranti con trefoli e gettata. La frequenza di micropali in una paratia berlinese è determinata non solo dal carico di fondazione ma anche dalla tipologia e dalla conformazione geotecnica del terreno.

Questa tecnica consiste nel migliorare la resistenza iniziale del terreno tramite l’introduzione di elementi lineari metallici, in modo da realizzare un complesso capace di resistere a sollecitazioni che il solo terreno non riuscirebbe a sopportare. Particolare riferimento è mirato a sistemi che prevedono l’uso di tiranti e/o micropali, cioè di elementi lavoranti rispettivamente a trazione e a taglio.

In alcune situazioni in cui le fondazioni hanno necessità di essere consolidate, per esempio nei casi in cui le crepe sui muri hanno origine da un difetto strutturale, è necessario intervenire con professionalità ed esperienza, ma soprattutto con tecniche consolidate. Tremoviter propone in questi casi l’intervento con tecnica Berlinese, ovvero l’installazione di micropali verticali e orizzontali dal livello delle fondazioni, fino ad un punto di maggior profondità.


La tecnica consiste infatti nel far penetrare nel terreno dei micropali in acciaio dotati di camicia, spinti verso il basso attraverso martinetti idraulici, fino al raggiungimento di uno strato di terreno meno cedevole, garante del miglior consolidamento strutturale della nuova fondazione. L’inserimento dei micropali permette poi il riempimento cementizio (Beton Projetè) e successivamente l’installazione dei tiranti e degli ancoraggi in trefoli di acciaio armonico o in barre Diwidag o Gewi, fondamentali per consolidare la fondazione al micropalo.



micropali

MICROPALI

TECNICHE EDILI AVANZATE PER IL RIPRISTINO DEI FABRICATI IN CASO DI LESIONI STRUTTURALI

I micropali rappresentano una tecnologia edile all'avanguardia, che l'IMPRESA EDILE FIORENTINI realizza a costi contenuti, per consentire nei casi indicati il consolidamento strutturale delle fondazioni dei fabbricati con lesioni strutturali.

Inoltre l'IMPRESA FIORENTINI è specializzata in tutte le altre tecniche di consolidamento, adottate nei casi indicati per il ripristino e consolidamento dei fabricati con lesioni strutturali.

Sottomurazioni

Specializzati in Sottomurazioni


Il metodo più antico fra gli interventi sulle fondazioni





Specializzati nelle
sottomurazioni



La sottomurazione è il metodo originario fra gli interventi sulle fondazioni e ancor oggi è da considerarsi valido in numerosi casi ed inoltre, con il continuo evolversi di nuove tecnologie su mezzi e materiali, la sottomurazione eseguita con la tecnica dei pozzi armati o in gergo cantieristico marcia avanti, permette la realizzazione di piani interrati intervenendo al di sotto di murature esistenti in completa sicurezza, sia statica che per il personale di cantiere.

In sostanza, si tratta di rafforzare la struttura fondale esistente prolungandola fino a raggiungere strati di terreno consistenti e allo stesso tempo si aumenta l’area di
appoggio con una conseguente diminuzione del carico unitario. Tale sistema, è risultato essere idoneo anche nei casi in cui la fondazione è rappresentata da un semplice prolungamento della muratura spesso costituita in mattoni e/o pietra poggiata direttamente sul terreno




Sicurezza dello scavo



Per la realizzazione dei sottomuri, vengono prese delle specifiche cautele per evitare
cedimenti strutturali e rischi di seppellimento degli operatori. A tal proposito, viene adottata la tecnica del marcia avanti per realizzare gli scavi armati eseguiti per campione e cioè si fa in modo di operare su zone distanti per non compromettere la stabilità dell’edificio,
dopodiché i lavori vengono ripresi in zone intermedie e così via. La lavorazione consiste nella realizzazione di pozzi armati che consentono la posa del ferro e il getto del calcestruzzo per le sottomurazioni. Le dimensioni del pozzo variano a seconda della tipologia e stato
conservativo delle fondazioni da consolidare o prolungare nel caso in cui si voglia realizzare piani interrati. Come già anticipato,i pozzi non possono essere realizzati in contiguo
ma devono essere opportunamente distanziati e alternati nel tempo in modo che la parete oggetto di sottomurazione abbia sempre tra gli appoggi una luce che gli permetta di auto sostenersi per effetto arco. L’armatura del pozzo costituita da una struttura in tronchi di abete e tavole di pioppo dello spessore di 4cm, è in grado di contrastare la spinta orizzontale del terreno anche in presenza di carichi verticali come edifici.

















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Strutture di fondazione da sottomurare e consolidare


Le sottomurazioni e i consolidamenti delle strutture di fondazione sono necessari per migliorare la stabilità costruttiva degli edifici. Sono soluzioni efficaci.
 sottomurazioni , consolidamenti strutturali , rinforzi strutturali 



Rinforzo murature e strutture di fondazione


Gli edifici sono soggetti nel tempo a degradarsi, sia per fattori esterni che compromettono lo stato di conservazione e la stessa stabilità dell'edificio, sia per eventuali scavi realizzati in adiacenza all'immobile, ma anche per la tipologia costruttiva adottata, i cedimenti di fondazione, i carichi gravanti sulle strutture, sopraelevazioni, eventi sismici, uso di macchine operatrici grandi piuttosto che mini escavatori.

Tutti questi effetti producono conseguenze di entità differente; secondo i casi, ci possono essere danni lievi oppure crolli parziali delle strutture edilizie o addirittura totali.

In caso di danno dovuto alla caratteristica meccanica del suolo di fondazione, si ricorre da tempo alla sottomurazione, tecnica risolutiva che interviene direttamente sulle strutture di fondazione realizzando scavi a ridosso del paramento murario, fino a una profondità tale da raggiungere la materia più consistente.


Rinforzo strutturale con la tecnica della sottomurazione


La tecnica della sottomurazione agisce per tratti, in punti abbastanza distanti tra loro per garantire sempre la stabilità del fabbricato senza alcuno squilibrio alla struttura in elevazione.

Innanzitutto, si mette a nudo la muratura nella parte frontale e basamentale, poi si realizza uno zoccolo di muratura sotto il paramento esistente, si giunge a una profondità di circa 3 mt sotto la quota del piano stradale, si ottimizza pertanto la resistenza meccanica.

Per meglio descrivere, si rimuove il materiale sottostante la struttura, si realizza un cordolo di calcestruzzo e lo si poggia su un terreno solido, si costruisce un nuovo muro connesso a quello già esistente, si assicura la continuità statica del paramento.


La procedura, secondo la tradizione costruttiva storica del luogo, è svolta o con conci di calcare tenero oppure anche con i mattoni pieni connessi tra loro tramite malta cementizia.

Ogni intervento possiede una propria dinamica, è necessario l'apporto professionale di un tecnico esperto e abilitato, un team operativo organizzato specializzato in questo settore, per garantire le migliori condizioni di sicurezza giacché si tratta di lavori realizzati in trincea.
È necessario anche avere lo spazio sufficiente per il movimento e una protezione opportuna contro la caduta di materiale dai cigli e da fronte di scavo.


Consolidamento strutturale con metodi differenti


Oltre al sistema classico delle sottomurazioni, esistono diversi metodi che vanno a consolidare i terreni di fondazione mediante l'impiego di resine espandenti, uno tra questi è quello di Uretek, ovvero Deep Injections®, basato sulla resina brevettata GeoPlus®.

Questa tecnologia per il consolidamento dei terreni consente di verificare in modo diretto l'efficacia dell'intervento in ogni punto in cui è effettuata l'iniezione.


La resina agisce nell'immediato e soprattutto in modo costante, viene monitorata durante l'azione con un'avanzata tecnologia laser e da squadre di tecnici e ingegneri efficienti e affidabili.

Si tratta dunque di un metodo non invasivo, non provoca disagi agli occupanti dell'edificio interessato e dà modo di continuare le normali occupazioni di tutti i giorni. Innanzitutto, è d'obbligo un sopralluogo preventivo e ispettivo, gratuito, mediante il quale i tecnici valutano le condizioni dell'edificio, la presenza e la dimensione delle crepe e di altre lesioni, raccolgono i primi dati per elaborare una proposta e quindi un preventivo.

A seguire, mediante uno specifico software di calcolo, si elabora ogni parametro meccanico raccolto nella relazione geotecnica del sopralluogo e si progetta l'intervento in modo molto calibrato.


Si realizzano così dei piccoli fori in modo rapido nel terreno di fondazione, senza alcuno scavo, si preparano i punti in cui è iniettata la resina Geoplus, quest'ultima si inserisce allo stato liquido, raggiunge la zona da consolidare, aumenta di volume, si solleva.

Ogni fase operativa è controllata al monitor e solo quando il livello di sollevamento è ottimale, l'intervento si ritiene concluso.


I vantaggi del consolidamento muri

La soluzione e metodo Deep Injections® presenta diversi vantaggi:

  •  è una tecnologia rapida rispetto ad altri sistemi;

  • è pulita;

  • risolve il problema dell'abbassamento all'istante;

  •  non è invasiva;

  •  non occorre alcun tipo di cantiere per procedere con l'intervento.

Non sono necessari neanche i lavori di muratura, non viene rilasciato alcun materiale di scarto, insomma non sporca né inquina, è perfetta per spazi di lavori ristretti come case in centri storici oppure case a schiera.


Il sollevamento della resina è preciso proprio grazie al controllo millimetrico compiuto con il laser, è una soluzione affidabile per il sistema di calcolo preciso per dimensionare l'intervento, è conveniente da tutti i punti di vista grazie ai costi e tempi d'intervento.

Addirittura si possono godere di interessanti agevolazioni fiscali eliminando le crepe pericolose dell'abitazione, si può detrarre la spesa del 50% giacché è a tutti gli effetti un costo di manutenzione straordinaria.


Esempio di consolidamento murature e terreni


L'azienda Uretek è intervenuta nel consolidamento di un edificio a Valenza composto da due corpi separati da un giunto strutturale, complesso costruito negli anni '90 su sei livelli fuori terra più due livelli interrati a uso cantine e autorimesse, fondazioni caratterizzate da cordolo perimetrale in cemento armato e plinti isolati nello stesso materiale.

Uno dei due corpi di fabbrica, poco dopo la realizzazione, ha cominciato a mostrare fenomeni fessurativi che si sono progressivamente aggravati nel tempo fino a evidenziare un distacco massimo di 5 cm alla sommità della zona di giunzione fra i due corpi.

La soluzione è stata quella di consolidare riempiendo i vuoti presenti nel terreno di fondazione con il metodo fin qui descritto, aumentando la capacità portante.


L'intervento si è svolto in due fase, a partire da una compattazione superficiale con iniezioni eseguite nell'intradosso delle fondazioni,allo scopo di migliorare le caratteristiche geomeccaniche del terreno e riempire i vuoti macroscopici presenti nell'interfaccia terreno.

La seconda fase ha riguardato il consolidamento in profondità, ovvero l'esecuzione di iniezioni su due livelli ulteriori di profondità, proprio nel volume di terreno interessato dai carichi trasmessi dall'edificio.

L'intera operazione è stata tutta monitorata per verificare in diretta l'efficacia e poi si sono compiute anche prove penetrometriche post intervento. Complessivamente è stato consolidato il terreno sottostante 75 plinti, 176 ml di fondazione nastriforme e 4 platee in 31 giorni.



Sottomurazioni e consolidamenti strutturali in fondazione





Consolidamento di volte a botte all'estradosso. Metodo classico o tecniche innovative?


Per il consolidamento strutturale delle volte a botte all'estradosso esistono metodi di intervento classici e altri più innovativi. Ecco le principali tecniche e la soluzione più efficace

Le volte a botte sono tra gli elementi architettonici maggiormente soggetti a fenomeni di degrado causati da eventi sismici e cedimenti strutturali. Si tratta di una caratteristica comune a tutti le strutture ad arco: seppur ben realizzate, i materiali di cui sono composte sono soggetti infatti a compressione.

Le tecniche di consolidamento strutturale delle volte a botte sono diverse. Esistono metodi di intervento classici e altri più innovativi da eseguire all'intradosso o all'estradosso.

In quest'occasione passeremo in rassegna i rinforzi all'estradosso ed evidenzieremo alcune tra le tecniche tradizionali e innovative più utilizzate. Infine indicheremo quella che per noi rappresenta la scelta più efficace.

Volte a botte: meccanismi di collasso

La diversa conformazione delle volte a botte, assieme alle caratteristiche del materiale di cui sono costituite, influenza il comportamento della volte stesse e il loro modo di interagire con gli elementi strutturali circostanti, sia in normali condizioni di esercizio che sotto azione sismica.

Le condizioni che determinano lo stato di crisi in una volta a botte, nel piano della sezione trasversale, si generano quando si ha la formazione di almeno quattro cerniere plastiche che producono condizioni di depressione o innalzamento della chiave.

Molti di questi meccanismi di collasso possono essere scongiurati attraverso interventi mirati sia alla limitazione dei movimenti relativi fra i piedritti, mediante inserimento di catene o con un corretto ammorsamento con le murature ortogonali, che attraverso interventi sulle volte finalizzati a:

  • incrementare la capacità di ripartizione delle azioni orizzontali;
  • incrementare la capacità portante nei confronti dei carichi verticali.

Quest'ultimo aspetto risulta essere particolarmente rilevante nelle volte in laterizio in foglio dove le capacità elencate risultano essere carenti per via della morfologia stessa della volta.

Un metodo classico per le volte a botte: la cappa armata

L'intervento più classico di rinforzo di una volta a botte consiste nella realizzazione di una cappa armata collaborante connessa alla muratura. La diffusione di questa tecnica deriva dal fatto che sia sempre stata considerata come quella più rapida e semplice da realizzare.

La cappa armata prevede l'impiego di una rete metallica all'interno di una soletta in calcestruzzo gettata in opera. Essa apporta un aumento di resistenza e di massa alla sezione resistente della volta che lavora principalmente a compressione.

Consolidamento di una volta a botte con cappa armata


L'aumento di massa della cappa armata può rappresentare tuttavia un aspetto negativo. Le volte a botte in foglio per esempio, dato il loro limitato spessore, non devono essere caricate in maniera eccessiva perché un aumento di massa provocherebbe un incremento delle sollecitazioni con conseguente possibilità di fessurazioni.

Un'altra problematica della cappa armata è legata alla difficoltà nella maggior parte dei casi di conseguire un'effettiva collaborazione fra la cappa stessa e la volta mediante l’inserimento di connettori. Spesso infatti risulta difficile realizzare perforazioni all'estradosso per l'inserimento e l'inghisaggio di connettori metallici. Ciò vale soprattutto in presenza di affreschi all’intradosso e su volte di spessore ridotto.

Insomma, le cappe armate hanno una serie di limiti che non le rendono in molti casi la scelta più indicata. E' opportuno quindi valutare altre soluzioni scegliendo tra quelle meno invasive per la struttura da consolidare. Passiamo dunque ai metodi più innovativi.

Volte a botte: tecniche di consolidamento innovative

Per il consolidamento delle volte a botte all'estradosso, in alternativa alle cappe armate, è possibile optare per soluzioni più leggere e tecniche più innovative.

Tra i sistemi che rientrano in questa categoria ci sono le reti strutturali in fibra di vetro per realizzare cappe collaboranti usando malte a base calce oppure i tessuti in fibra di carbonio per aumentare le capacità resistenti e di comportamento d'insieme. Vediamo entrambe le soluzioni.

Consolidamento delle volte con reti in fibra di vetro

L'utilizzo di malta a base calce (Tectoria M15) e rete strutturale in fibra di vetro (Kimitech WALLMESH), permette di realizzare cappe collaboranti che, rispetto a quelle di tipo tradizionali, godono di due principali vantaggi:

  • sono più leggere, visto che si possono realizzare spessori inferiori;
  • garantiscono una maggiore traspirabilità delle strutture murarie.

La rete in fibra di vetro alcali resistente, al posto della classica rete elettrosaldata, non è soggetta a corrosione e grazie alla sua leggerezza e flessibilità può essere piegata in modo da seguire le curvature e le eventuali discontinuità della superficie.

In ogni caso, questo sistema di rinforzo prevede l’inserimento di connettori tra la cappa e il supporto, per consentire la collaborazione tra il rinforzo e la volta. Realizzare perforazioni su volte a basso spessore per l’inserimento di sistemi di connessione però non è di semplice esecuzione. Per questo l’impiego della rete può essere sostituito da altri sistemi, come i rinforzi FRP.

Consolidamento di volte a botte con reti in fibra di vetro


Consolidamento delle volte con tessuti in fibra di carbonio

I rinforzi con materiali compositi in fibra di carbonio permettono di incrementare la resistenza delle volte applicando fasciature sia all’intradosso che all’estradosso.

Di frequente, per questa tipologia costruttiva è richiesto l’intervento dall’estradosso quando le volte in mattoni devono essere lasciate a vista per mantenere il loro aspetto estetico e non alterare l’intradosso.

Il rinforzo con FRP in fibra di carbonio Kimitech CB prevede l’applicazione di fasciature secondo la generatrice della volta, con la funzione di resistere agli sforzi di trazione prodotti sull’estradosso della sezione della volta stessa.

Inoltre vengono disposte delle fasciature ortogonali, secondo la direttrice della volta. In questo modo è possibile ridistribuire gli sforzi che assorbono le singole fasciature, creando una maglia di ripartizione che garantisce una maggiore omogeneità del sistema di rinforzo su tutta la superficie.

Come ultima fase di intervento si predispongono infine delle connessioni perimetrali, con dei connettori a fiocco (Kimitech FIOCCO CB), per il collegamento delle fasce alle murature perimetrali.

Schema di rinforzo di una volta a botte con tessuti in fibra di carboni


Consolidamento delle volte con Limepor COCCIOFORTE

Tra le le metodologie innovative, un modo alternativo ai sistemi precedenti è quello di realizzare una cappa collaborante in basso spessore e a ridotto incremento di carico mediante un sistema chiamato "Limepor COCCIOFORTE". Tale sistema è a nostro parere quello più indicato per il consolidamento all'estradosso di volte a botte. Vediamo nel dettaglio cos'è e perché.

L’applicazione di Limepor COCCIOFORTE avviene miscelando in betoniera la matrice organica con l’inerte composto da un mix di aggregati di colore "cocciopesto". Si ottiene così un sistema tricomponente applicabile anche su supporti dipinti all'intradosso dato che non impiega malte che possano rilasciare acqua.

Con questo tipo di sistema non sono necessarie connessioni diffuse da realizzare sulla superficie poiché viene applicato in adesione al supporto. Si ottiene così un ponte adesivo costituito dalla stessa matrice organica impiegata per la miscelazione del composto. La cappa viene quindi semplicemente connessa ai muri perimetrali.

Consolidamento di volte a botte con Limepor COCCIOFORTE


Un altro aspetto da considerare è che Limepor COCCIOFORTE resiste a compressione, a flessione e a trazione, dunque non è indispensabile posizionare reti metalliche e inghisare i relativi connettori. Di conseguenza, in fase di progetto si potrà considerare una sezione resistente composta dallo spessore della volta incrementato da quello di Limepor COCCIOFORTE.

Oltre all’aumento della sezione si può considerare all’estradosso della sezione, la resistenza del sistema, sia a trazione che a compressione. Grazie alla forte adesione garantita dalla resina utilizzata per la creazione del ponte adesivo, il comportamento della sezione rinforzata continuerà a rispettare l’ipotesi di conservazione delle sezioni piane e nella sezione si continuerà ad avere una distribuzione lineare delle deformazioni.

Schema di rinforzo di una volta a botte 


Come alternativa al sistema di rinforzo con cappa continua è possibile realizzare invece nervature di irrigidimento con estrema semplicità. In questo modo il rinforzo non sarà di tipo diffuso, ma concentrato su delle fasce in cui verrà realizzato l’ispessimento della sezione.

Questa seconda scelta progettuale prevede spessori delle nervature superiori rispetto allo spessore realizzabile con una cappa continua. Tale procedimento di conseguenza potrà essere applicato dove le quote per la realizzazione del riempimento e della successiva pavimentazione possano consentire l’utilizzo di un sistema a più alto spessore.





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I metodi per realizzare il consolidamento delle volte in muratura


Come intervenire per consolidare le volte in muratura con metodiche differenti finalizzate al recupero strutturale e architettonico, nel rispetto dell'esistente
 
 





Le volte: strutture antiche e moderne


Tra i diversi tipi di coperture presenti nel settore delle strutture architettoniche, la volta rappresenta una tipologia fondamentale.

Volendo descrivere la struttura di un tale elemento, possiamo immaginare la sua composizione realizzata affiancando una serie di archi, la cui diversa disposizione genera principalmente due tipologie di volte: semplici e composte.

Le volte, indipendentemente dal tipo di forma geometrica, sono fondamentalmente delle strutture spingenti, capaci di esercitare spinte laterali; l'opposizione a tali spinte è affidata principalmente alle murature perimetrali e in alternativa a elementi metallici, come i tiranti in acciaio.

Occorre però dire come in pratica sia molto difficile imbattersi in volte vere e proprie, nelle quali i conci di muratura di cui sono costituite, posati con i giunti orientati verso il centro geometrico della volta, producano in proporzione alla loro posizione una parte della spinta totale verso l'esterno.

Comunemente, è più facile riscontrare delle tipologie a guscio, realizzate con materiali diversi dalle murature in pietra o in laterizio: voltine in calcestruzzo armato o in altri materiali alternativi rappresentano un esempio in tal senso.


Volte a geometria variabile


In virtù della geometria del proprio intradosso, le volte si suddividono in semplici e composte; un esempio di volta semplice è rappresentato dalla volta a botte, mentre una complessa è rappresentata da una volta a crociera.


La breve premessa sopraesposta, è necessaria per poter introdurre il consolidamento di tali strutture, argomento certamente non esaustibile nell'ambito di una breve nota, ma comunque trattabile in modo tale da fornire delle linee guida su come comportarsi in presenza di un apparente dissesto riguardante tali strutture.

La ricerca della causa dell'apparente dissesto rappresenta il primo passo verso la soluzione del problema. Questa fase va affrontata rifuggendo da sistemi fai da te, ma facendosi seguire da un tecnico qualificato, il quale, dopo aver effettuato gli opportuni rilievi, potrà individuare le probabili cause del dissesto.


Volte e cause dei dissesti


Dopo aver individuato le cause, occorre chiarire le finalità dell'intervento di consolidamento , le quali ovviamente dipendono dal tipo di struttura architettonica a cui si fa riferimento.

Si può ben capire come in un edificio di particolare pregio architettonico, non sia possibile alterarne la struttura materica, senza tener conto del contesto e ciò nel rispetto delle normative vigenti nel campo del restauro e consolidamento dei beni architettonici, in particolare della Carta Italiana del Restauro del 1972.


Tale documento recita «Esigenza fondamentale del restauro è quella di rispettare e salvaguardare l'autenticità degli elementi costitutivi nel caso di murature fuori piombo, anche se perentorie necessità ne suggeriscono la demolizione e la ricostruzione, va preliminarmente esaminata e tentata la possibilità di raddrizzamento senza sostituire le murature originarie».

In virtù di quanto disposto dalle norme in materia di restauro, gli interventi di consolidamento che prevedono sostituzioni o modifiche dei paramenti murari, oltre a limitarsi al minimo indispensabile, dovranno essere distinguibili dagli elementi originari, differenziando i materiali o le superfici di nuovo impiego.

Restando nell'ambito delle strutture ordinarie, per le quali non esistono particolari vincoli conservativi, è immediato comprendere come il tipo di intervento da realizzare in presenza di un dissesto sia rappresentato da un insieme di opere tese principalmente ad aumentare la sicurezza statica della struttura.


Volte e interventi di consolidamento ricorrenti


Gli interventi più frequenti di consolidamento delle volte in muratura vengono effettuati allo scopo di ridurre i carichi agenti su di esse, cosa fondamentale in particolare per quelle costruzioni ricadenti in zona sismica o in presenza di modifiche della composizione strutturale dell'edificio, in seguito a ridistribuzioni funzionali, cambi di destinazione d'uso dei locali, con conseguenti aumenti di carico sulle volte.

Lo svuotamento dei riempimenti dei rinfianchi, la realizzazione di soletta in calcestruzzo armato di consolidamento sull'estradosso della volta e successiva realizzazione di frenelli in muratura, la realizzazione di una eventuale sopravolta in calcestruzzo armato a cui è affidato il compito di sostenere la volta sottostante e ridurre la sollecitazione sui muri d'ambito, l'inserimento di opere metalliche atte a contrastare la spinta laterale o a impedirne l'accentuarsi, rappresentano gli interventi classici con i quali è stato affrontato per molto tempo la problematica.


Nei sistemi sopra descritti, oltre a intervenire con sistemi di scuci e cuci delle parti murarie, spesso venivano impiegate reti metalliche, che hanno evidenziato nel tempo diversi inconvenienti, causati da fenomeni di ossidazione.

Grazie all'introduzione di nuovi materiali da costruzione, come le reti in fibra di vetro o le fibre di carbonio, oggi è possibile intervenire in maniera meno invasiva e più efficace.

Per interventi di semplice rafforzamento preventivo, quando non risulta necessario svuotare l'estradosso della volta, possono impiegarsi malte da intonaco a basso modulo a base di calce, armate con reti e connessioni in GFRP preformate, applicate all'intradosso delle volte con peso e spessore ridotti (circa 3 cm).

Questo intervento permette di ottenere un miglioramento strutturale omogeneo e diffuso, con elevate caratteristiche meccaniche, di duttilità, di durabilità e con basse rigidezze.


Qualora dovesse emergere la necessità di un intervento di consolidamento più radicale, si dovrà procedere con un vero e proprio insieme di opere, le quali verteranno a realizzare una nuova struttura soprastante la volta danneggiata, a cui affidare l'incarico di alleggerire il carico di esercizio della volta esistente.

Per fare ciò è necessario puntellare dalla parte intradossale la volta in questione, mediante un insieme di elementi atti a presidiare in maniera uniforme l'intero intradosso della volta, senza che su di essa possano essere in qualche modo esercitate pressioni di sorta.

Dopo aver assicurato la volta da consolidare, si procederà con la rimozione della parte estradossale, mediante la rimozione della pavimentazione superiore e lo svuotamento dei rinfianchi, avendo cura di svuotarli contemporaneamente al fine di evitare scompensi di carico.

L'operazione sopra citata, permetterà di mettere a nudo la parte muraria estradossale, che dovrà essere adeguatamente pulita e laddove possibile ripristinata al meglio, per rendere la superficie estradossale pulita ed uniforme.


A questo punto, occorre procedere al consolidamento della muratura perimetrale alla quale verrà ancorata la nuova struttura in calcestruzzo armato, preferibilmente realizzata in cemento fibrorinforzato, oppure impiegando materiali leggeri, quali inerti per la formazione della controvolta, con uno spessore variabile di almeno 5 cm.

Attraverso ancoraggi costituiti da tondini di acciaio inseriti nella muratura perimetrale, impiegando materiali idonei in rapporto al tipo di muratura presente, verrà disposta sull'intradosso della nuova struttura in calcestruzzo armato, una rete di ripartizione dei carichi, la quale, per una opportuna riduzione dei carichi e maggior durata nel tempo, è consigliabile sia costituita da fibre di vetro.

Dopo aver realizzato il getto della nuova struttura, occorre procedere al riempimento dei rinfianchi mediante materiale leggero, come l'argilla espansa, polistirolo o materiali simili.


Volte e interventi di consolidamento con materiali innovativi




Qualora non si volesse procedere alla realizzazione di una nuova struttura portante di supporto a quella esistente, è possibile impiegare idonei tessuti in fibra di vetro e carbonio, da applicare sia all'intradosso che all'estradosso della volta, mediante l'uso di resine termoindurenti.
Tale sistema, tra cui uno dei più noti è rappresentato dal FIBREBUILD BETONTEX-EPOXY termoindurente, permette di incrementare la resistenza meccanica dell'intera struttura.

Gli interventi specialistici descritti, vanno eseguiti sotto la direzione di tecnico abilitato, poiché è necessario ricercare con opportuno calcolo, i punti di applicazione delle fibre e la loro disposizione.

Questa operazione, se non accuratamente predisposta, oltre a incidere in maniera economica rilevante, potrebbe sortire addirittura effetti dannosi per l'intera opera strutturale.

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VESPAIO aerato: costo, obbligo e permessi - igloo cupolex

Vespaio aerato con strutture Igloo - Cupolex - Granchio: nell'articolo vedremo che cos'è, quali sono i prezzi e i costi, i permessi, la funzione di fondazione contro l'umidità di risalita, qual è l'altezza massima e minima, il carico di esercizio, quando è obbligatorio e la voce di capitolato e computo metrico.


Oggi, è fondamentale isolare la casa dall'umidità derivante dal terreno. Per far ciò, il metodo più utilizzato è il vespaio aerato.

Vediamo di cosa si tratta, quale funzioni svolge, qual è il costo, le stratigrafie e quali caratteristiche deve avere.


Indice

1 Funzioni del vespaio aerato.

2 Trasmittanza limite.

3 Qual è l'altezza massima e minima?

4 Quali sono i carichi che deve sopportare il vespaio?

5 Quale pratica edilizia o permesso occorre?

6 Quali sono le modalità di posa?

7 Qual è il costo al metro quadro?


 





Che cos'è il vespaio e quali funzioni svolge?

Il vespaio non è altro che un'intercapedine ventilata. Oggi, viene realizzata mediante casseforme a perdere in polipropilene riciclato, detti anche igloo, granchio o cupolex,  dai nomi dei principali produttori.

Le funzioni principali sono:

  • impermeabilizzare contro l’umidità di risalita. In pratica, si crea un distacco tra il terreno e l'edificio, permettendo all'aria di circolare e quindi di portar via l'umidità. Attenzione a praticare dei fori sulle murature esterne almeno ogni 2/3 metri per poter far circolare l'aria liberamente. Senza ventilazione, il vespaio è una struttura priva di significato. Altro consiglio, qualora le murature interne fossero collegate con la fondazione e quindi creassero un blocco tra i vespai delle varie stanze, praticate altrettanti fori su queste strutture.


  • convogliamento all'esterno dell’edificio del Radon, gas radioattivo inodore e incolore generato da alcune rocce terrestri. Può essere cancerogeno se inalato.
  • permettere il passaggio sotto la soletta di cavi, tubazioni ed impianti. Altro aspetto molto importante da considerare in fase di progettazione è il passaggio degli impianti e specialmente dei tubi di scarico delle acque nere. Quest'ultimi devono avere pendenze maggiori del 1,5% e devono raggiungere la fossa biologica. In questo, le altezze dei casseforme svolgono un ruolo primario.
  • isolare termicamente: il nuovo solaio sopra il vespaio, dovrà rispettare determinati requisiti di legge volti al risparmio energetico attestati attraverso la relazione energetica nota come "legge 10". In particolare, la trasmittanza (capacità di un materiale di dissipare calore) del solaio dovrà essere inferiore ai valori indicati di seguito, che variano in base alla zona climatica dove si trova l'immobile oggetto di intervento:

Zona A: Lampedusa, Linosa, Porto Empedocle. Trasmittanza minima= 0,34 W/mqK

Zona B:  Agrigento, Catania, Crotone, Messina, Palermo, Reggio Calabria, Siracusa, Trapani. Trasmittanza minima= 0,34 W/mqK

Zona C:  Bari, Benevento, Brindisi, Cagliari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Imperia, Latina, Lecce, Napoli, Oristano, Ragusa, Salerno, Sassari, Taranto. Trasmittanza minima= 0,34 W/mqK

Zona D:  Ancona, Ascoli Piceno, Avellino, Caltanissetta, Chieti, Firenze, Foggia, Forli', Genova, Grosseto, Isernia, La Spezia, Livorno, Lucca, Macerata, Massa, Carrara, Matera, Nuoro, Pesaro, Pesaro, Pescara, Pisa, Pistoia, Prato, Roma, Savona, Siena, Teramo, Terni, Verona, Vibo Valentia, Viterbo. Trasmittanza minima= 0,28 W/mqK

Zona E:  Alessandria, Aosta, Arezzo, Asti, Bergamo, Biella, Bologna, Bolzano, Brescia, Campobasso, Como, Cremona, Enna, Ferrara, Cesena, Frosinone, Gorizia, L'Aquila, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Modena, Novara, Padova, Parma, Pavia, Perugia, Piacenza, Pordenone, Potenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rieti, Rimini, Rovigo, Sondrio, Torino, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Varese, Venezia, Verbania, Vercelli, Vicenza. Trasmittanza minima= 0,26 W/mqK

Zona F: Belluno, Cuneo. Trasmittanza minima= 0,24 W/mqK 





 

Questi valori, essendo verso ambiente non riscaldato dovranno essere divisi per il fattore di correzione dello scambio termico.

Ad esempio, a Lampedusa, dovrò realizzare un solaio con trasmittanza MINORE di 0,34 W/mqK diviso per il fattore di correzione indicato nelle UNI TS 11300-1.

Qual è l'altezza massima e minima?

L'altezza massima delle cupole varia in base al produttore. In genere, è possibile acquistare strutture alte al massimo 80 cm. Le più basse hanno un'altezza minima 10 cm. Esistono in commercio soluzioni alternative che possono far arrivare l'altezza fino a 5 cm.

Naturalmente, l'altezza è funzione del grado di umidità degli ambienti. Scelgo le altezze inferiori quando ho un tasso di umidità basso e il locale è ben aerato. Difatti, più si sale con le altezze e maggiore sarà il costo. Ho utilizzato gli igloo da 10 centimetri anche per i giardini pensili e i tetti verdi.

Quali sono i carichi che deve sopportare il vespaio?

Altra caratteristica fondamentale del vespaio è la resistenza a compressione (kg/mq) per poter assorbire i carichi sovrastanti (persone, mobili, peso della struttura stessa).

Come saprai, per ogni uso a cui viene destinato l'immobile, dovrà essere considerato un carico di progetto diverso. Nella tabella metterò a confronto i carichi da sostenere con lo spessore della soletta armata e i ferri della rete elettrosaldata al variare della destinazione d'uso:

Uso della strutturaCarico esercizi0 (Kg/m2 )Spessore soletta (cm)Armatura metallica
Residenziale
200
4
ø 5/20x20
Uffici
200
5
ø 5/20x20
Garage
250
5
ø 6/20x20
Negozi
400
6
ø 8/20x20

Dopo gaverti parlato degli aspetti tecnici, passiamo a quelli burocratici:





Quale pratica edilizia o permesso occorre?

La posa in opera del vespaio aerato, se viene realizzata in concomitanza con opere strutturali occorre la segnalazione certificata di inizio attività SCIA, oltre alla direzione lavori strutturale e al deposito del progetto strutturale presso il genio civile.

Se invece, il vespaio poggia direttamente sul terreno, siamo in manutenzione straordinaria e basta la CILA e non occorre la pratica strutturale al genio civile. Andando a modificare l'involucro, inoltre, ricadiamo in riqualificazione energetica o ristrutturazione energetica importante e il solaio necessiterà di essere isolato. Ne segue, come già accennato, che l'operazione necessiterà anche di relazione energetica, nota come "legge 10".

Se ti può interessare, scarica la sezione in dwg di un vespaio areato.

Quali sono le modalità di posa?

Vediamo ora quali sono le modalità e le operazioni di posa:

    1. Preparazione del terreno naturale.
    2. Preparazione del sottofondo in calcestruzzo magro da dimensionare in funzione di sovraccarichi e portata del terreno (10 cm).
    3. preparazione delle bocchette di aerazione . Converrebbe che l'aria entrasse il più in basso possibile dal lato nord e uscisse il più alto possibile dal lato sud.
    4. Posa del fermagetto attorno alle travi di fondazione, previa posa delle armature previste.
    5. Posa dei casseri ad incastro maschio/femmina procedendo da sinistra a destra dall'alto in basso, facendo attenzione che la freccia disegnata sia rivolta verso l’alto.
    6. Posa della rete elettrosaldata appoggiata sopra i casseri.
    7. Esecuzione del getto di calcestruzzo (4 cm soletta) partendo dal centro dell'arco, lasciandolo scendere dentro le gambe del cupolex / igloo / granchio fino a giungere e completare i cordoli.
    8. Posa del pacchetto coibente. Ad esempio, è possibile usare il polistirene estruso XPS, noto come styrodur o il poliuretano rigido PUR, o stiferite. Esistono anche calcestruzzi con perline di polistirolo (iosocal) che hanno buone caratteristiche isolanti.
    9. Posa di barriera di vapore  per realizzare uno strato impermeabile.
    10. Posa del massetto porta-impianti e di eventuali pannelli radianti.
    11. Posa della pavimentazione in gres porcellanato o parquet.

In alternativa al vespaio, è possibile isolare il pavimento attraverso l'argilla espansa. A Firenze sono sufficienti 20 cm di argilla espansa, 10 di soletta in calcestruzzo e 7 di massetto alleggerito per gli impianti e la pavimentazione.

Vespaio aerato




Vespaio areato o camera d’aria: la sua importanza. Come realizzare un vespaio areato con igloo. Ristrutturazione, normativa, costi.



Cupolex

La funzione principale del vespaio aerato è quella di isolare il pavimento della casa dal terreno.



Vespaio areato: vantaggi



  1. Migliora le condizioni abitative dell’edificio, separando la superficie di sedime dalla soletta abitabile inferiore. Può essere definita ed indicata come una camera d’aria che viene realizzata nei locali al piano terreno delle abitazioni.
  2. Permette l’isolamento termico della vostra casa e risolve l’eventuale problema del Gas Radon che, se accumulato in grandi quantità, è nocivo per la salute della persona. Per assicurarsi di aver risolto questo problema, occorre far sistemare tubazioni collegate all’esterno in modo che si ottenga la miglior aerazione possibile.
  3. Permette una facile ventilazione in ogni direzione, creando una barriera al vapore.


Leggi anche: Igloo da giardino

In antichità il vespaio aerato veniva costruito utilizzando pietre tonde, sistemate sopra il terreno una a fianco dell’altra, permettendo il passaggio dell’aria negli spazi vuoti.

Dopo aver creato diversi strati, si terminava con una colata di malta di calce e poi di calcestruzzo per livellare.

Come fare un vespaio aerato


Iglu

Con il progresso è diventato più semplice realizzare il vespaio aerato.

I prodotti in commercio oggi presentano, nella parte sottostante, un vuoto che permette di posare tubazioni idriche, scarichi ed eventualmente anche l’impianto di riscaldamento a pavimento.

I singoli elementi vengono affiancati; per facilitare la circolazione dell’aria è consigliabile lasciare aperture esterne nelle murature.

Dopo aver sistemato tutti gli elementi, si posiziona sopra una rete elettrosaldata e si completa con una gettata di calcestruzzo armato per livellare.

Il massetto ha un’altezza variabile a seconda degli elementi che compongono il vespaio e del carico che deve sostenere.

Vespaio Aerato: le tipologie

Vespaio aerato pietrame

Il vespaio aerato in pietrame viene oggi realizzato soltanto quando si è in fase di ristrutturazione.

Una volta individuata la zona della casa su cui intervenire, viene posato sul fondo del terreno uno strato di ciottolato o ghiaia grossa su cui appoggiare il successivo basamento dell’edificio.

Vespaio areato con igloo



Negli ultimi anni si è diffuso la realizzazione del vespaio aerato di tipo igloo.

Consiste in casseforme a perdere, composte da elementi di materiali in plastica. Sono facilmente posizionabili, rendendo la posa in opera una semplice e rapida operazione.

Dapprima si provvede a realizzare lo scavo, eseguendo, se è il caso, sottofondazioni. Poi, livellando con la ghiaia, vengono poste le casseforme.

L’altezza degli igloo in commercio parte da cm 5 circa, fino ad arrivare ad anche 200 cm. Occorre considerare che più alto sarà lo spazio sottostante, migliore sarà il risultato in termini di ventilazione ed isolamento dell’edificio.

Vespaio areato: ristrutturazione e normative



La normativa in merito all’obbligatorietà o meno del vespaio aerato varia in base alla regione. E’ stato reso obbligatoria la sua presenza in fase di costruzione di nuovi edifici o ristrutturazione a partire dagli Anni 80 circa.

Non è però obbligatorio in tutte le regioni: tale differenza dipende dal superamento o meno della soglia limite sulle emissioni di gas radon dal terreno rilevate dalla regione.

Vespaio areato: costo



Attualmente il prezzo medio di mercato di un igloo, o cassonetto, si aggira intorno a € 10 al mq; aggiungendo il costo per calcestruzzo e rete elettrosaldata, manodopera inclusa, il prezzo finale per il cliente è intorno a circa 40 euro al mq. Poi, potrebbero esserci eventuali oneri accessori come opere di demolizione e di scavo.

Vespaio areato per risolvere l'umidità di risalita: è una buona idea?

In presenza di umidità di risalita sotto i pavimenti l’ipotesi di fare il vespaio areato viene spesso presa in considerazione dal proprietario di casa, magari dietro consiglio del professionista edile di turno.

Il vespaio areato ha sicuramente dei vantaggi in termini di maggiore efficienza energetica e salubrità degli ambienti, ma realizzarlo in fase di costruzione dell’immobile o successivamente sono due interventi che hanno un’invasità e un impatto economico nettamente diverso.

Inoltre, se si sta pensando di fare un vespaio areato per risolvere l’umidità di risalita, si è completamente fuori strada in quanto la sua realizzazione non risolverà definitivamente il problema.

Tale è l’esperienza di tanti sfortunati proprietari di casa che, dopo aver speso una fortuna per installare il vespaio, si sono ritrovati ad avere ancora il problema di umidità di risalita nelle pareti e quindi gli stessi problemi di prima.

Il vespaio areato elimina in parte l’umidità di risalita nel pavimento, quella che proveniva dal terreno, ma non può agire sull’umidità che risale nei pilastri e nelle pareti portanti dell’abitazione che sono a contatto con il terreno.

Quindi il vespaio areato non elimina il problema dell’umidità di risalita nei muri.

Per comprendere completamente perché il vespaio areato o altri tipi di intervento come la barriera chimica o le contropareti non eliminano l’umidità di risalita, dovresti leggere l’articolo elettrosmosi che spiega il fenomeno fisico che sta alla base della risalita.